Essere Usher: Come pesci dentro il mare. L’importanza dei gruppi di auto sostegno.

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Disable is a fish

Essere disabili comporta una grande responsabilità con sé stessi. Non si smette mai di confrontarsi con il futuro e con gli altri, con le proprie possibilità ma soprattutto con i propri limiti. Il passaggio fondamentale nel processo di crescita personale sta nell’accettazione: sono questo corpo, sono questa persona, sono così.
Anche una volta compreso che essere disabili può essere interpretato come uno dei tanti possibili ‘essere’ che ci poteva capitare di interpretare in questa vita, il percorso non è finito. A maggior ragione se la malattia che ci rende disabili è degenerativa. A distanza di anni o in coincidenza dei diversi stadi della trasformazione bisogna imparare ogni volta a convivere con sé stessi e con i limiti che si aggiungono.

E’ il caso della Sindrome di Usher. Anche se la sordità o l’ipoacusia rimangono sostanzialmente invariate, la retinite pigmentosa non lascia scampo. In un modo o nell’altro, più o meno rapidamente, la vista cambia e inesorabilmente peggiora. Si riduce l’indipendenza, soprattutto di notte, si riduce l’acuità, cambia la percezione dei colori, si restringe il campo visivo. Per chi ha anche difficoltà uditive questo significa anche trasformare il modo di comunicare e imparare nuovi linguaggi. Diventa più difficile leggere le labbra in situazioni di penombra, vedere le mani che ‘parlano’ il linguaggio dei segni, fino a che sarà necessario toccarle per poterle ‘leggere’. Diventa necessario apprendere il braille, ricorrere a screen reader per usare il computer.

A volte può essere davvero difficile percorrere queste tappe da soli. E’ importante il supporto di persone specializzate, di psicologi, di medici, così come dei genitori, degli amici. Tuttavia tutte queste figure possono offrire competenza, professionalità, consigli, supporto, amore, ma sempre dal punto di vista di chi conosce la disabilità nel modo in cui l’uomo conosce il mare. Puoi essere il più esperto marinaio o capitano, puoi essere un pescatore di tonni, un cacciatore di balene o un seguace di Magellano, ma sarai sempre un uomo che galleggia su qualcosa di immenso e di profondo. Potrai imparare le onde, le maree, i colori, ma non conoscerai mai quello che sa un pesce.

Per questa ragione confrontarsi con chi ha gli stessi problemi e difficoltà è uno dei modi migliori per aiutare se stessi. I pesci non parlano, ma imparano a nuotare nel blu profondo, si tramandano tra loro le regole dell’Oceano senza doversi dire nulla, senza insegnarsi nulla, solo per una naturale convivenza dentro la stessa acqua. Imparano l’ Oceano dall’acqua stessa, dai suoi movimenti e dai movimenti degli altri pesci che essa trasporta.

Forse sto cercando di dirlo con una storia, sto cercando di far dire alle immagini quello che ho imparato da un weekend con Leben Mit Usher.

Si chiamano self-help groups. Ovvero gruppi di auto sostegno che contribuiscono a fornire un ambiente in cui le persone che condividono esperienze simili si uniscono per offrire un sostegno pratico ed emotivo in maniera reciproca e reciprocamente vantaggioso.

Il 17 e 18 settembre 2o11 una ventina di ragazzi e ragazze provenienti da diverse parti della Germania e dell’Europa si sono incontrati ad Hannover per condividere esperienze, motivazioni, emozioni e modi di vivere e affrontare la Sindrome di Usher, sia essa di tipo 1, 2 o 3.
Le limitazioni sensoriali individuali sono più o meno gravi e diversi gli stadi di avanzamento dell’ipoacusia e dell’ipovisione che in alcuni casi sono al livello di sordità e cecità.
Ognuno vive o ha vissuto il proprio dramma in maniera più o meno intensa e individuale, confrontandosi con altri sordi, ciechi o altri Usher, siano essi compagni di scuola, amici o fratelli, ma per due giorni eravamo tutti immersi nella stessa acqua, pesci che conoscono questo mare, più o meno profondo, della disabilità.
Come ho detto in altri articoli, spesso l’aiuto viene dal confronto e la rete internet è un modo per avvicinarsi agli altri, ma il contatto fisico, la presenza, la partecipazione, non sono sostituibili. Essere insieme e condividere alcune ore è un modo per sentirsi sollevati da un sorriso. Semplice sorriso che non ha suono. Impareggiabile significato. Oltre ai problemi di comunicazione che già la Sindrome di Usher comporta, per me si aggiungevano problemi legati al fatto che non conosco bene il tedesco, lingua condivisa da tutti gli altri partecipanti. Due interpreti del linguaggio dei segni e qualche amico che conosce l’inglese mi hanno comunque permesso di parlare e ascoltare le presentazioni organizzate per il seminario, ma forse più di ogni cosa, di ogni immagine, di ogni parola, mi rimane un gesto. Un movimento circolare della mano sopra la testa: sogno.
Questo gesto è la prima parola che ho imparato nel linguaggio dei segni., quasi un auspicio per non smettere di sognare, sia dentro che fuori dal mare.

2 comments from the community

  1. It is good to read your words, feeling very on my own these days, too many demands of my small resources, abilities and not being heard by those that can. Hope all of us can have our days to connect with others on a good level that is and feels human, knows laughter, kindness and that we are treasured as is and as it goes too. A time without so much daily struggle to take in and enjoy if even for a moment. NK

  2. Very sweet comment.
    I think we can get a lot of very intense and deep connections all over, but we need to seek and hope for some around and close to us.
    I believe in the power of words: sometimes they can fill the gap of phisical distance, but that might not turn into what you are mentioning: laughter, kindness….

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