Un quasi-morto. Sensazioni devastanti dopo il terremoto in Nepal

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quasi morto

Ieri sono riuscito a pubblicare solo questo.
Senza parole.
Oggi le voglio trovare. Le voglio cercare tra le macerie e la polvere le parole per descrivere questa scossa.
Un’onda d’urto che come uno tsunami ha viaggiato per mezza Terra e ha devastato anche me.
Il mio orologio è ancora sincronizzato sul fuso di Kathmandu, su quelle strane 5:45 ore di differenza.
Era il mio modo per sentirmi ancora un po’ là
Sul tavolo una esposizione di souvenir. Campane tibetane e campanelle che non hanno svegliato gli dei giusti.
Bandiere di preghiera colorate appese ai lampadari e un telo rosso e bianco sulla porta di casa.
Un libro sulle avventure degli scalatori.
Croste di terra sulle suole delle scarpe.
C’è aria di Nepal in casa mia. Aria di montagna.

Ero ancora nel silenzio post viaggio, quel momento in cui mi godo questi oggetti pensando che vengono da lontano e li ho portati qui io.
Stavo cercando di metabolizzare la mia avventura, di capire come metterla in ordine per raccontarla e farla diventare quella ondata di giallo che doveva invadere il mondo.
E ora?
Che senso hanno i miei passi, le mie fatiche, le mie emozioni?
Dove metto tutta questa storia?
Ho immagini negli occhi e oltre 3000 scatti digitali. Ho i video dei templi e del caos di Kathmandu.
Non sarà mai più la stessa città.
Ho tante storie che avevo già messo in capitoli. Ognuno con un nome.
Dovevo solo aspettare qualche giorno.
Invece devo ricominciare.
Ripartire ancora e questa volta non so da dove.
Ci sono i morti. Tanti. Troppi.
Ci sono migliaia di persone senza casa, senza niente.
Non riesco nemmeno ad avere notizie dirette dei miei amici. Magari Dil, la mia guida, era in cammino con qualche altro trekker. Chissà se e quando potranno riavere un po’ di elettricità per ricaricare i telefoni.
Chissà quando le linee telefoniche riprenderanno a funzionare laggiù. Dove tutto è così lento.
Era già difficile prima. Era difficile ricostruire il Nepal dopo la caduta dei re. E ora? Che ne sarà di questo piccolo Stato che ha la fortuna e la sfortuna di essere annidiato sotto il tetto del mondo?

Non c’è da stupirsi se c’è stato un terremoto. Non è il primo. Non sarà nemmeno l’ultimo. Ma forse nessuno ricorda il precedente, troppo lontano per essere nella vita di uno stesso uomo.
Sono solo ottant’anni che nel tempo del mondo sono soltanto uno starnuto dopo un altro.
Ma non sono un tempo casuale per me.
Ho incastrato un viaggio in Nepal tra un incidente aereo e un terremoto devastante.
In qualche modo sono stato fortunato.

Sono un quasi morto.

Non tanto perché abbia rischiato, ma perché è come se il terremoto mi avesse distrutto i ricordi che dovevo ancora cominciare a ricordare.

E’ un pensiero egoista.
Chi se ne frega dei miei ricordi quando il terremoto ha distrutto un Paese e la vita di moltissima gente.
Non è così semplice.
I miei ricordi non sono solo quello che io volevo poter ricordare. Sono la voglia di tornarci, di contribuire alla vita quotidiana di quei pochi nepalesi che ho conosciuto di persona, la voglia di progettare qualcosa per il futuro, di esaudire un desiderio lanciato con una moneta ruggine senza alcun valore in fontana sotto la statua di un grande Shiva.

Devo tornare di nuovo a tacere.
O forse devo muovere i miei prossimi passi sopra i mattoni rotti, i pezzi di strada sprofondati.
Questa volta è diverso.
Per quanto non possa comparare la potenza di uno tsunami giapponese o un terremoto indonesiano, la magnitudo non è solo una questione geologica.
La violenza di questa scossa mi scuote nel profondo. Non è vero che tutte le vite hanno lo stesso valore. Perché ci dispiacciamo per i morti ma in breve tempo saranno solo dei numeri.
Il Nepal dovrà ripartire e forse la Thailandia dimostra che è possibile.
E la ricostruzione dovrà essere anche la mia.
A chi mi chiede come mi sento forse dovrò dare ancora risposte di circostanza, come ho fatto finora per camuffare il mio desiderio di non dire niente di falso.
Dovrò di nuovo mentire.
Perché non ce la faccio a dire a tutti che ho contemplato la morte e analizzato nel dettaglio tutti gli articoli delle polizze assicurative. Avevo timore di quel piccolo aereo che vola su Lukla, avevo paura che ci fossero alti burroni e crepacci. Avevo contemplato anche l’idea che mi scoppiasse il cuore in petto e che vomitassi l’anima in cerca di aria. Ma alla voce “Disastri Naturali” avevo tirato dritto.
Ho scampato uno dei più grandi del Nepal.

Il mondo è impazzito. E’ un dato di fatto.
Ora voglio provare a non impazzire con il mondo.
Kathmandu e tutto il Nepal erano già prima luoghi di polvere.
Molti indossano mascherine e foulard per proteggere le vie respiratorie.
Ora spero soltanto che soffino venti capaci di farla sparire e far filtrare qualche raggio di sole.
Non so più che colore abbia la speranza.
Ne prenderò uno a caso .Forse ancora il giallo, che nelle bandiere della preghiera simboleggia… la terra.
Quando l’ho saputo ho sentito una nuova scossa. Brividi questa volta.
Come se fosse tutta colpa mia.

Come aiutare il Nepal devastato

 

 

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