Incontro con Papa Francesco

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È morbida la sua mano.
La voce è come la senti in televisione.
Flebile e stanca.
Stanca per l’età e per quanto cerca di farsi sentire da chi non lo ascolta.
La mano.
Non è quella di Dio.
È quella di in uomo.
Ne ha toccate tante.
È la mano di Papa Francesco.
Abbiamo fatto oltre 450 km per sfiorarla, per portargli la nostra pace e e la bandiera che la rappresenta.
Abbiamo fatto qualcosa di titanico, che oscilla tra l’incoscienza e la follia.
Potremmo descrivere ancora le strade sterrate alle porte di Roma, l’ingresso nell’assordante traffico, le gambe che non spingono, gli appuntamenti istituzionali e mediatici.
Ma, come si dice in questi casi, non si può capire.
Ci vuole il sorriso di Samuele, che si accende lento, come lui, e poi rimane a illuminargli il volto.
L’ironia di Alessio. Un rockettaro veneziano che ti fa stare bene solo a guardarlo.
La dolcezza di Josy. Non che basti essere brasiliani per sprigionare bellezza ma Josy è così. Bellezza che scorre.
Ci vuole il Drago. Mite drago siciliano che sogna ad occhi aperti.
Ci vuole Tiziano, il suo sorriso furbo, i nervi d’acciaio. L’amore per Mara.
Già Mara. La raggiante mamma del gruppo. Che coppia che sono!
Ci vuole Eva. Le sue stories e le sue attenzioni.
Le sue piccole ruote, che devono girare di più e più veloci.
Ci vuole Daniela.
Inenarrabile.
Sale, scende, pedala, scrive, telefona, aiuta e va.
Va e ancora va.
Ci vuole Bart. Una caricatura preziosa e indispensabile.
E Angiolino, che non si riesce a immaginare nessun capofila meglio di lui.
Ci vuole Pietro e tutto quello che ha messo in campo.
Oltre se stesso.
Un polipo a cui servirebbero mille tentacoli.
In quell’istante in cui la mia mano sfiora la sua provo a consegnargli tutto questo.
Una storia, tante storie.
Ma quante sono le storie che sono sulla stessa piazza, sotto lo stesso cocente sole?
Altrettanto forti.
Allora non è tanto importante portare al Papa un messaggio.
Così come nel cammino non è importante la meta.
Il messaggio lo abbiamo portato per ogni singolo metro.
Noi siamo strumenti di Pace.
Nella breve quiete tra inadeguate canzoni e tamburi, mentre guardavo l’imponenza della Basilica inondata di luce, ho sentito un brivido.
Per quel brivido.
Per quel brivido io ora so perché.

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