Ocio al Zaeo! Non è l’album Panini.

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Ocio al Zaeo! Non è l’album Panini.
In quelle pagine composte da vuoti riquadri in attesa del ritratto mancante non si collezionavano facce ma volti di storie che ognuno conosceva a memoria. Il viaggio a piedi appena concluso non è stato fare incetta di siti storici, naturali o di cartoline anche se di panorami suggestivi e interessanti visuali su vigneti, ville e giardini ne abbiamo raccolte.
Chi ha scelto di vivere ciò che stava in mezzo tra la partenza e l’arrivo di ogni giornata di cammino ha trovato prezioso l’incontro con l’altro, oltre il gruppo.
Si è sorpreso davanti alla candida richiesta di aiuto della Sorella Leocadì che cercava conferme per le erbe raccolte come cura al suo mal di fegato e si è emozionato davanti al piccolo ballo organizzato dalla stessa e da Consolata, le due sorelle che animavano Villa Concordia, prima struttura religiosa che ci ha ospitato.
Danzavano e cantavano portando sulla testa una bottiglia di Fiori d’Arancio, tipico vino euganeo per festeggiare la nostra presenza e ricordarci la terra nativa, il Burundi.
Qualche altro ha apprezzato il momento della discesa infida sul sentiero nel bosco reso difficile dallo strato di fango dove si affondava e dove ognuno prestava tanta attenzione a chi non vedeva.
Sole, caldo, boschi e asfalto nelle ore centrali del primo giorno per far fronte a un infortunio.
L’ora del pranzo che reclamava spazio e la stanchezza che affiorava.
Una maglia gialla all’orizzonte ravvivava gli animi e metteva in connessione con il primo escursionista cittadino che ci chiedeva lumi sull’onda gialla di Ocio al Zaeo.
La sua maglietta altrettanto gialla faceva comunanza e il confronto nasceva spontaneo.
Pane e Vin tingeva di rosso il nostro primo convivio.
Camicia rossa d’ordinanza e basco un tempo rosso ormai corallo marcavano il profilo di Roberto oste d’altri tempi. Cimeli, libri e aneddoti mostravano appartenenza politica. Schierato ma non fazioso regalava storie divise tra popolo, signori e vescovi.
La siesta davanti al rosso dei Colli allungava le ore ma lasciava spazio ad un fuori programma. Villa dei Vescovi, gestita dal FAI, era alla nostra portata.
La giovane Valentina accoglieva e si misurava con una guida speciale per alzare l’inclusione del sito storico. Obbiettivo raggiunto che riempiva il suo bagaglio professionale e il nostro zaino di una nuova esperienza. Villa Immacolata portava un nome impegnativo e le architetture di un seminario. L’accoglienza era gestione di due Sorelle che mettevano tutte se stesse per alzare l’agio dove altri faticavano. Trentanni di dura Argentina erano il miglior lasciapassare per sbrigare faccende nostrane. Ci pensavano, comunque, il verde intorno e il grande cedro centenario a ristabilire i giusti equilibri. Era tempo di salire, di boschi e di eremi che qui fan pari con il numero delle Ville.
Il Monte Rua ospitava il primo, camaldolese di metà Cinquecento. Il portiere novizio di origini polacche , al mio scampanare, ci accoglieva. Occasione per presentare gli obbiettivi del viaggio targato NoisyVision ETS rRaccoglieva incerto.
Con le spalle al portone si era di nuovo in marcia presi da riflessioni e rinnovato equilibrio. Al vecchio Roccolo, sul passo, l’incontro con l’anziano Giovanni. Raccoglieva legna e noi curiosità che diventavano racconto, il suo. Ci invitava a fargli visita per scoprire le sue abilità nella costruzione di cesti. Galzignano la sua residenza, io raccoglievo i dati non fosse mai…
Il Cammino chiedeva ancora passi prima della meta agognata.
Non solo facce e storie da album dei ricordi. La natura voleva il suo spazio in attesa di mostrarsi nelle parti più intime e seducenti, i Seni Euganei che presto i Marronari avrebbero aperto alla vista.
Bastava anche un letto di fieno e filari di vite per regalarci una pausa coi fiocchi. Una distesa di corpi gialli e due cani fedeli su un letto d’oro, un Ocio di Zaeo lungo come una striscia di led.
Il Cammino non è l’album Panini. Tutti protesi per arrivare scavalcavano il centro visite e l’orto botanico. Era momento per recuperare parte del film. La scena si doveva ripetere. I camminatori dovevano tornare indietro sugli ultimi passi. Era tempo di coinvolgere i sensi, tutti, per scoprire i segreti delle officinali. Una palestra piccola, naturale per non vedenti e anche per gli altri. Rimaneva un altro dei sensi da soddisfare, l’ora era giusta. Il gusto.
Michele era di strada per fare gli onori di casa. Io restavo in fondo. Una scelta per chiudere il gruppo, per prendersi tempo, per regalarsi il possibile altro. Che arrivava. Il Cammino lo porta, basta attendere. Una coppia in lontananza sulla strada polverosa. Giovani, lui una faccia copiata all’Ascanio attore, il Celestini provocatore, lei bionda dell’ Est, del Nord chissà? In mezzo un marmocchio adottivo di pelle nera. Neri anche i riccioli, un ciuccio in bocca e due braccia impegnate a spingere un passeggino sulla salita. Davanti ho Mustafà, adolescente invitato a salire dalla terra livornese per il suo primo cammino, dietro due donne con ombrello a parare il sole sulle pelli troppo sensibili. Il riccioluto saluta convinto. Una mano si agita verso Moustapha senza mollare il passeggino, di nuovo un saluto alle nostre due camminanti. E’ il mio turno. Uno in fronte all’altro. Decido di provocarlo. Lo saluto e chiedo il nome. O sputa per modulare le sillabe o se lo toglie. Sceglie la seconda, Malik. Il gioco è quasi fatto. Gli chiedo di partecipare rammentando ai genitori il vecchio fustino. Dash non si cambia! Malik che ne penserà?
“Se lasci il ciuccio fino a questa sera ti do un premio!” Finisco la frase e si fionda dalla madre con il ciuccio in mano. “Tieni mamma”, val meglio il premio. Mi viene vicino, sicuro, tranquillo. Sono un estraneo ma con il premio. Decide di fidarsi. Attende paziente. Cerco nello zaino la sacchetta con le spille. rufolo. Attende e osserva. Mannaggia, sono rimaste nell’altro. Non posso tradirlo, stacco quella sul mio zaino.
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Attacco la spilla alla sua maglietta. Corre verso la madre,
“Mamma ho vinto la medaglia” e riparte a spingere il passeggino.
Ora è il tempo per il convivio. Poi verranno altre storie e, forse, l’album Panini non avrà pagine a sufficienza.
Nino Guidi

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