Se hai visto e magari sfogliato l’ultima edizione della guida del Cammino dei Briganti ti sarai accorto/a che in copertina c’è una ragazza che cammina su un grande prato verde con un ombrello in mano.
Ecco la mia storia.
Mi chiamo Marina e tra le tante caratteristiche che mi contraddistinguono c’è anche quella che sono albina.
Ho i capelli biondi, gli occhi azzurri, la pelle chiara.
Chi mi vede mi dice:
Ma tu non sembri albina!
Già.
Perché noi dovremmo essere la rappresentazione dei luoghi comuni.
Ci sono diversi tipi di albinismo e il tipo 2, il mio, non presenta le caratteristiche dei capelli bianchi e occhi blu-grigio che molti associano a questa condizione.
L’ombrello mi serve per ripararmi dal sole.
Quando sono in cammino mi capita spesso di aprirlo.
L’ho aperto sul cammino dei Briganti, sulle dune del deserto in Marocco, sui monti Iblei.
L’ombrello mi aiuta a prevenire le scottature e mi fa un po’ di ombra sugli occhi, alleviando la fotofobia.
Albinismo vuol dire anche difficoltà a vedere con luce intensa, scarsa percezione dei contrasti e delle profondità.
In una parola: ipovisione.
Così come sotto ogni passo c’è un’impronta, sotto un ombrello c’è una storia.
Sotto quell’ombrello c’è la mia.
Se ti capiterà di aprire un ombrello in qualche cammino raccontami la tua
Instagram: @amiantimarina
#sottounombrello
Testo condiviso anche sulla newsletter della Compagnia dei Cammini