Don’t Touch Me

di
10 gennaio 2022

Questa storia è una di quelle che vanno raccontate.
Con dovizia di particolari.

Nel 2017, prima dell’estate, ho ricevuto una telefonata.
Era Stefano Scagliarini.
Cercava una collaborazione per il suo progetto di tesi di laurea al Politecnico di Milano.
Quel progetto, intitolato “BLIND IMAGES. Fotografarsi senza vedere” si è trasformato in un racconto sulla Sindrome di Usher attraverso le storie di tre protagonisti. I loro autoritratti. Le loro musiche.
C’è anche un video che ancora oggi continua ad essere visto e rivisto.
Stefano ha cercato di dimostrare che la fotografia si fa con il cuore, prima che con gli occhi e con la macchina fotografica.
Una di quelle storie è la mia.
Ma fino ad oggi non era mai stata mostrata, esposta.
Stefano voleva custodire quella foto per il momento giusto, per non trasformarla in pixel pubblicati sul web o sui social.
Forse sarebbe stata interpretata, guardata o magari scrollata senza la giusta attenzione per quella che non è solo una foto.
È un’opera d’arte.
Il fatto che lo scriva io, soggetto bella foto, potrebbe sembrare autoreferenziale.
Non sono io l’opera d’arte.
È la foto. O meglio, il quadro.

Ero nel mezzo del cammino di Santiago di Gran Canaria, tra le montagne del centro dell’isola, cercando di concedermi una pausa di digital detox.
Per poter vedere le mappe e le tracce GPS del sentiero dovevo attivare la connessione dello smartphone.
Ho ricevuto un messaggio. C’erano delle foto. Un video.
Ho guardato. Non capivo.
Ma come fa Licia (dj Lithium) ad avere queste foto? Cos’è questo video con la colonna sonora di “Girl in Amber” di Nick Cave?
Le foto e il video erano del quadro con la foto che Stefano aveva scattato nel 2017.
Per un puro caso Licia era all’inaugurazione di una mostra collettiva dove esponevano alcuni suoi amici.
Mentre stavano ultimando gli allestimenti Andrea, marito di Licia (dj Neue K), ha visto un quadro è ha esclamato: “Ma quello è Dario!”
Ero proprio io. Ancora avvinghiato a quell’albero di Mauerpark, avvolto dal buio e retroilluminato da un segno di light painting.

Incredulo.
Come mai Stefano non mi ha fatto sapere nulla?
Sono andato a controllare la chat di WhatsApp con Stefano. C’erano dei messaggi non letti di una settimana prima.
Non succede mai che non legga dei messaggi.
Questa volta il destino voleva regalarmi una sorpresa.
Voleva che altri amici mi rivelassero di questa esposizione.
Ho scritto subito a Stefano, che mi ha raccontato altri dettagli sul perché di quella mostra, realizzata per volontà dell’artista Angelo K, prima della chiusura definitiva del Plus Hostel.
C’era anche un’opera di Alfredo, un amico e artista siciliano che ho conosciuto a Berlino già nel 2007.

Angelo K ha definito quest’opera “bella”, nel senso più profondo del termine. Ovvero qualcosa che trasmette una sensazione indefinibile di armonia e coesione che la ‘cosa’ non sa di avere.
Un notevole contributo al tutt’uno della bellezza viene dalla cornice. Realizzata a mano in legno di castagno da Simone Pella.

Era ancora sul muro bianco, accanto al calenDario di ferro di Angelo K.
La data era ancora quella del giorno prima.
E infatti per me era il giorno prima.

La foto scattata da Stefano nel 2017, dopo più di quattro anni era tornata a Berlino, incorniciata da un albero in una esposizione che aveva il titolo DEEP.
Profondo.
Come le radici.

Quell’opera è stata tolta dal muro ed è venuta via con me.
Mi sono ripreso quell’albero, quel momento.
Me l’hanno regalato gli artisti.

Fuori faceva freddo, pioveva.
Era buio.
Avevo in mano un quadro di legno con dentro un gesto di luce.
In tutto questo ci sono io.
Che tocco un albero.
Che non vuole essere toccato.
Gli chiedo scusa.
Come tutte le volte che confondo alberi, pali, muri con persone.
Sfioro cose nel buio.
E non so che non mi risponderanno mai.
Fino al punto da innamorarmi di voci nell’oscurità, o di un silenzio profondo.
Un silenzio centenario.
Eterno.
Come quello di un albero.

 

Dario

 

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