Per il progetto Color InSight nel mese di Novembre stiamo affrontando il tema del lutto legato alla perdita della vista.
Potete riascoltare qui la diretta Facebook/Youtube con tre testimonianze di come trasformare la perdita della vista o dell’ udito in una rinascita.
Di seguito alcuni spunti per aiutarvi nella elaborazione del lutto qualora siate arrivati in questa pagina perche’ vi state confrontando con la perdita della vista a causa di una malattia o incidente.
Rimaniaamo a disposizione per un confronto personale.
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di Mara Vesco
Leggi l’originale qui.
Nel 1983 John Hull è diventato cieco. Perdere la vista in età adulta è un’esperienza dolorosa, vissuta come un vero e proprio “life marker”, ossia uno spartiacque che porta con sé un profondo messaggio di discontinuità rispetto a quella che è stata, fino a quel momento, la vita della persona e dei suoi familiari.
Così è stato anche John Hull, teologo e scrittore inglese: a 45 anni, dopo anni di malattia, è diventato completamente cieco.
Per prendere consapevolezza, per elaborare e per affrontare nel migliore dei modi ciò che gli stava accadendo, John Hull ha deciso di tenere un audio-diario, nel quale registrare pensieri, emozioni e sensazioni fisiche.
Nel 2014 i registi Peter Middleton e James Spinney hanno prodotto “Notes on Blindness“, in italiano “Note sulla cecità”, un cortometraggio della durata di 12 minuti, creato a partire dalle registrazioni che lo scrittore ha raccolto per ben tre anni.
Questo è il tempo che è stato necessario a John Hull per: “smettere di credere di essere una persona vedente che non riusciva più a vedere”.
Questo cortometraggio aiuta ad avvicinarsi al senso dell’esperienza vissuta della cecità, in particolare troviamo:
Come racconta il regista Spinney: «Quello che i diari raccontano è un processo di rinascita. John ha ridefinito la sua identità attraverso le sue paure e il suo desiderio di tornare a vivere».
Infatti, l’elaborazione della perdita della vista comporta una ridefinizione del senso di identità che passa attraverso la consapevolezza e l’apprendimento di nuovi modi di percepire e di percepirsi, per arrivare all’accettazione di sè.
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tratto da www.studiopsicologiarubbini.it
Lutto è qualsiasi esperienza in cui la persona sperimenta un distacco doloroso e definitivo da qualcuno o da qualcosa di importante. Il dramma della perdita e della separazione da una persona cara o da una funzione corporea è una delle emozioni più forti che siamo chiamati a vivere. È un cambiamento della nostra vita che comporta un distacco, un prima ed un dopo che ci fanno sperimentare l’abbandono, la solitudine, la paura, il senso di colpa e la nostra vulnerabilità. Tutte le perdite, tutte le separazioni provocano un necessario cambiamento.
Che si sia trattato di un evento a cui eravamo preparati, o che l’evento sia stato improvviso (perdita della vista a casa di una malattia o di un incidente) le reazioni di chi vive un lutto e/o una separazione costituiscono un percorso doloroso, caratterizzato da alcune fasi specifiche. Ogni qualvolta si realizza la perdita di un oggetto al quale siamo affezionati ci troviamo in una situazione di elaborazione del lutto. Il problema dell’affezionarsi e del perdere hanno a che vedere con il cervello biologico in una delle sue funzioni principali: l’attaccamento.
La funzione biologica dell’attaccamento: La funzione dell’attaccamento serve al cucciolo per sviluppare un legame che gli permettere di rimanere vicino alla madre in un periodo del suo ciclo vitale nel quale non può provvedere da solo alla propria sopravvivenza. […]
Tra l’attaccamento, che vuole il cucciolo vicino alla madre e l’esplorazione che lo vuole lontano e autonomo nelle esperienze, si realizza una sorta di danza, un gioco dialettico in cui il cucciolo si allontana, poi quando sente il pericolo e la distanza, ritorna vicino alla madre e si fa consolare e nutrire, per poi ritornare ad esplorare. Tale danza si interrompe quando il maturare delle risorse e delle funzioni del cucciolo porta l’individuo a un tale grado di sicurezza e autostima tale da affrontare l’ambiente in modo autonomo.
L’attaccamento nell’essere umano: L’essere umano, a differenza di altre specie, presenti sia una grande difficoltà nel pervenire alla fase di maturazione delle funzioni e risorse, sia una particolare persistenza della funzione dell’attaccamento; tutto ciò lo porta a trovarsi dipendente in senso affettivo a molte cose, persone, situazioni e funzioni.
L’esperienza del lutto contiene in sè la parola morte. Quando si verifica una perdita l’individuo sente che una parte di sè non permette la perdita e registra una sorta di impossibilità di sopravvivenza senza l’oggetto perduto. Questa sensazione ricorda da vicino il vissuto dei cuccioli che perdono la madre e che vivono un reale pericolo di morte in questa situazione. La natura ha dotato i cuccioli di un particolare senso di importanza vitale riferito al legame con l’oggetto di attaccamento.
Le varie situazioni di perdita che sollecitano la funzione dell’attaccamento: Morte, scomparsa, rottura di una coppia o cambiamenti nel ciclo di vita della coppia, cambiamento di lavoro, perdita della vista o dell’udito, esperienze legate al ciclo vitale.
Se pensiamo alle fasi fondamentali della vita, quali infanzia, adolescenza, età adulta, età matura, vecchiaia, possiamo notare quanto siano difficili i passaggi da uno stadio ad un altro e quanto le persone si attacchino alle cose che hanno amato e goduto nella fase ormai obsoleta. Così molte persone non si staccano mai dall’infanzia, nonostante passino gli anni e la vita chieda loro altre modalità di comportamento e relazione, altri ancora alla adolescenza, altri ancora al potere della fase adulta, e altri a quella della fase matura. Anche il fallimento lavorativo, al cambiamento di città o casa. Esperienze incidentali e traumatiche.
Sintomi legati alla perdita:
Sintomi acuti: I sintomi acuti riguardano l’elaborazione della perdita quando essa è appena accaduta. Sono un senso di smarrimento, una crisi di tipo esistenziale con perdita del senso dell’esistenza, un appiattirsi e rendersi grigio della vita, un senso struggente di mancanza dell’oggetto perduto: di fatto, aleggia la morte.
Nostalgia, cordoglio, dolore, sono emozioni molto frequenti quando il lutto è in azione.
Sintomi cronici: Ma non sempre le persone sono in grado di elaborare e quando non elaborano o lo fanno solo in modo parziale si assiste alla comparsa dei sintomi cronici. L’elaborazione non riesce quando la persona non ritiene di avere le risorse sufficienti per reggere il mondo senza la persona o la cosa perduta. In questo caso il dolore risulta essere talmente forte da mettere in atto dei meccanismi di difesa da esso e il processo profondo di distacco dal oggetto viene abortito. In questo caso nel livello biologico l’oggetto viene ad essere congelato insieme alla parte di organismo che aveva potuto vivere ed esprimersi nella relazione con esso. Quando l’elaborazione non riesce allora entrano in gioco i meccanismi di difesa più disparati: rabbia- negazione- svalorizzazione- idealizzazione- autosvalutazione- dare la colpa ad altri- la domanda infinita, ovvero l’individuo si relaziona con gli altri cercando in loro qualcosa che appartenne a qualcun altro nel passato.
Gestire le perdite: L’elaborazione del lutto passa da una definizione del problema ll canbiarne il senso: da “senza l’altro io perdo la mia anima e non sono più nessuno” a “grazie all’altro ho potuto trovare e scoprire un pezzo della mia anima che oggi posso usare per giungere a chi sono”.
Queste locuzioni si possono applicare alla perdita della vista. Possiamo riprendere in questo contesto la citazione di John Hull “smettere di credere di essere una persona vedente che non riusciva più a vedere”.
Fasi del lutto:
Naturalmente, questa gamma di reazioni emotive non è controllabile o dominabile a nostro piacimento. E, a volte, si può rimanere bloccati in una delle sue fasi. Inoltre, una situazione di sofferenza dovuta ad un lutto ed a un distacco può generare:
A livello fisico:
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A livello psicologico si possono avere:
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IMPARARE AD ELABORARE IL LUTTO E LA SEPARAZIONE È POSSIBILE: Elaborare vuoi dire trasformare, andare oltre, superare – in questo caso – il dolore della separazione, del distacco. Il tempo del lutto è un tempo di ondate di dolore e di temporanei rasserenamenti, di malessere e di ritorno alla normalità.
Il dolore mentale depressivo che segue l’esperienza del lutto non deve essere considerato una malattia. Esso, al contrario, è necessario in quanto segnala che tutta la nostra persona sta reagendo alla mancanza della persona cara o della vista/udito. Ecco perché non è utile sopprimere o soffocare ciò che è naturale e cioè l’espressione del dolore.
II dolore ha un senso e va riconosciuto: è successo qualche cosa di molto brutto e piano piano posso rendermene conto. Anche le relazioni interpersonali e la rete di amicizie e di affetti che abbiamo costruito durante l’arco della vita possono aiutarci in questo percorso. Solo così il lutto potrà diventare un tempo che, faticosamente e lentamente, riuscirà a farci ritrovare il senso dell’esistenza e a vivere un presente capace di contenere la perdita che abbiamo subito. Un dolore condiviso con gli altri non diventa minore, ma più tollerabile.
Procedura di elaborazione del lutto
La procedura si fonda su sei fasi progressive che permettono di scoprire che la magia è sempre stata prodotta da noi, con il sostegno dell’altro, grazie all’incontro con l’altro, ma è stata prodotta da noi. Tutta l’elaborazione del lutto passa da una definizione del problema nel senso: senza la vista io perdo la mia anima e non sono più nessuno; a una definizione nel senso: grazie alla vista ho potuto trovare e scoprire un pezzo della mia anima che oggi posso usare e ho scoperto un po’ chi sono. Le esperienze di amore sono le cose più importanti che di solito la gente afferma di aver vissuto, in quanto in esse si apre una dimensione di connessione che permette di vivere al di la della normale vita mentale.
La procedura di elaborazione delle perdite: L’elaborazione del lutto ha a che vedere con la funzione di attaccamento e quindi viene processata dal cervello biologico. La mente non può processare il lutto al posto del cervello, ma può tenere in asse il processo per permettere al cervello di elaborare oppure può negare il suo sostegno o addirittura interferire con questo preziosissimo lavoro. Il piano esistenziale quindi deve operare delle azioni con degli scopi precisi che fungono da sostegno e guida alla elaborazione profonda che viene di fatto compiuta dal cervello biologico secondo dei tempi che sono suoi. Le decisioni e le azioni che il piano esistenziale deve agire non hanno quindi un potere effettivo totale ma sono solo la base perchè la separazione avvenga.
Ecco una procedura, suddivisa in fasi, che aiuta il piano esistenziale ad alimentare dei processi di integrazione nel cervello biologico. SI utilizza il termine procedura più che quello di tecnica non a caso. Questa esperienza è fondamentale per l’essere umano al fine di produrre due fenomeni: l’individuazione e l’autonomia. Tutte le persone che infatti riescono a portare a termine l’integrazione dell’evento di perdita, oltre a riferire un senso di alleggerimento e fioritura amorevole a livello emozionale, percepiscono un rafforzamento dell’autostima, in quanto sperimentano un rinforzo delle loro risorse individuali, nonchè una maggior coscienza della loro individualità, di chi sono, nel senso della chiarezza intorno a ciò che per loro ha senso e valore. Molte di queste fasi richiedono la comunicazione e l’espressione, ma di fatto il centro della procedura riguarda molto più il mondo interno che non il mondo relazionale. Ci sono tre grandi momenti di elaborazione che sono in vari modi sostenuti dalle fasi della procedura: la chiusura, il lasciar andare e il riappropriarsi e l’impegnare una nuova sfida evolutiva.
Le sei fasi della procedura della elaborazione delle perdite.
Vediamo quindi la procedura nei suoi dettagli. Data la enorme frequenza della perdita di una persona importante per separazione o per morte, le sei fasi saranno orientate in questo senso, ma esse possono essere utilizzate in parte o in toto, mediante degli adattamenti, per ogni altra perdita (oggetti, fasi del ciclo di vita individuale o famigliare, perdita della vista, udito, … )
Fase 1: rituale di separazione. In questa fase la persona compie delle azioni reali che hanno il fine di dichiarare e attualizzare la separazione. Quando si perde qualcuno, non sempre il cervello e la mente accettano la perdita e quindi tendono a mantenere un legame fantastico, cioè virtuale con l’oggetto. Il rituale di separazione può essere compiuto mediante una comunicazione con la persona se essa vive ed è disponibile oppure in caso contrario ad esempio al cimitero se la persona è morta oppure in forma di lettera, o mediante la tecnica della sedia calda. Lo scopo di questa fase consiste nell’inviare al cervello biologico un messaggio di chiusura definitiva della relazione, in modo da tagliare la strada a ogni fantasia di recupero di essa. Nelle comunicazioni reali o simboliche con la persona devono essere presenti le parole: chiudo la relazione, mi separo da te per sempre, ti lascio andare. Molte volte le persone hanno già compiuto dei rituali opposti a quelli della separazione in momenti emotivi di enorme intensità spesso nel periodo immediatamente seguente la perdita. Mi riferisco a dei gesti simbolici o dei giuramenti o promesse fatte all’altro o a se stessi. In questo caso il cervello emotivo ha fissato con estrema forza il congelamento del lutto e questi rituali vanno assolutamente sciolti.
Fase 2: espressione delle emozioni e chiusura di cose sospese. In questa fase la persona esprime ogni emozione, pensiero, intenzione, ricordo che è rimasto non detto all’altro. Molte volte la separazione avviene dopo un più o meno lungo e doloroso periodo di disallineamento dall’altro, dove non sempre la comunicazione è stata tenuta aperta e ha chiarito gli eventi. Al contrario è molto comune che alcuni pesi si siano accumulati sul cuore a causa di eventi in cui ci si è sentiti feriti dal comportamento dell’altro, delusi nelle proprie aspettative, arrabbiati per azioni sgradevoli ecc. In questa fase è necessario esprimere eventi, emozioni vissute in conseguenza, e reazioni avute.
Al tempo stesso normalmente abbiamo ferito e deluso l’altro con i nostri comportamenti, volontariamente o involontariamente. Anche questo tipo di eventi vanno espressi e chiariti. Lo scopo di questa fase è di pulire le negatività accumulate mediante l’espressione e assicurarsi di congedarci dall’altro senza il peso del non aver potuto dire qualcosa.
Le frasi tipo di questa fase sono:
Quello che non ti ho mai detto…
Mi dispiace molto quando ti ho fatto,detto,non ho fatto…
Ho sofferto molto quando tu…
Fase 3: ringraziamento all’altro. In questa fase la persona si concentra sul ringraziamento all’altro per i bei momenti vissuti insieme. La dichiarazione dell’importanza delle cose meravigliose vissute e l’apprezzamento di esse portano a celebrare il passato. Questa fase deve avere più forza e intensità della fase precedente, in quanto il rapporto di amore ha nutrito l’individuo per un periodo permettendo di fatto il suo rafforzamento.
Questa fase ha una fondamentale influenza sulla reale chiusura del rapporto e rappresenta il primo inizio del riappropriarsi di cose che riguardano la separazione. In una elaborazione naturale del lutto la tristezza si trasforma gradualmente in gratitudine. Questo avviene proprio perchè il cervello emotivo, integrando la separazione, esperisce che il rapporto ha prodotto un arricchimento evolutivo. Non solo una persona ha potuto vivere dei momenti di grande felicità, conseguenti alla connessione tipica dell’esperienza di amore, ma ha anche potuto apprendere e rinforzare delle risorse nella relazione.
Le frasi tipo di questa fase sono:
Sei stato molto importante per me perché..
Grazie a te ho potuto…Senza ti te non avrei mai capito….,imparato a…. scoperto che…. Ricordo come fosse oggi il momento……
Fase 4: scoperta del proprio tesoro interiore. In questa fase avviene un approfondimento del processo di riappropriazione di qualità profonde. La relazione di amore, mediante la sua forza protettiva, ha permesso di connettere delle qualità profonde e risorse non razionali che sono state vissute, agite e sperimentate all’interno della relazione stessa. La persona innamorata incontra due fenomeni di straordinaria importanza che ho chiamato: magia percettiva e forza vitale. Il altri termini la persona vede il mondo con altri occhi e sente una forza interiore tale da poter prendere dei rischi che normalmente non osa impegnare. Quello che rappresenta la più grande difficoltà nella elaborazione del lutto consiste nel fatto che la persona lega la meravigliosa visione del mondo e della vita e la forza vitale crescente alla relazione con l’altro o all’altro. La perdita della relazione diventa allora la perdita della propria forza vitale e della magia percettiva conosciuta. Questo legare la magia percettiva e la forza vitale alla relazione credo sia la peggior trappola percettiva dell’essere umano. E’ una totale illusione ma a quel che mi risulta la più diffusa. La realtà è ben diversa. La magia percettiva e la forza vitale sperimentate sono la conseguenza della connessione con se stessa che la persona ha vissuto nella relazione di amore. Le meraviglie che uno vede sono il manifestarsi della propria anima e delle qualità, talenti e caratteristiche proprie della persona che li vive. La forza vitale, che assume caratteristiche molto precise in ogni persona, deriva dal contatto con istinti e funzioni che appartengono all’individuo, ma che sono sepolti nel suo cervello biologico al di sotto della comune scissione mente-cervello che caratterizza l’essere umano e che si riduce naturalmente ma drasticamente nell’esperienza dell’innamoramento. La meraviglia della magia percettiva porta inoltre l’innamorato a vedere il partner come talmente meraviglioso da apparire unico e straordinario. La perdita stressa a tal punto la funzione di attaccamento e interrompe la possibilità di connessione che questo impedisce all’individuo di rendersi consapevole della proprietà completa della sua esperienza. Non solo ma il vedere impossibile la connessione con l’altro, che rappresentava una modalità semplice di connessione con se stesso, rende straziante la perdita. Io credo che la perdita più grande che avviene nella separazione di un partner sia la perdita della connessione a se stessi, erroneamente interpretata come amore verso l’altro. In realtà si perde la possibilità di sperimentare la magia della connessione a se stessi attraverso la relazione con l’altro. Questa perdita rappresenta un qualcosa di intollerabile per chi non ha altre vie di connessione con se stesso, e viene vissuta come lo sprofondare in un mondo grigio senza valore, depauperati di un tesoro che scoperto tempo prima, aveva reso piena e meravigliosa la vita. La percezione di aver scoperto un tesoro è assolutamente reale, ma l’illusione consiste nel fatto che esso è stato proiettato al di fuori, sul partner o sulla relazione. Lo scopo centrale di questa fase consiste proprio nel ribaltare questa percezione illusoria e far prendere consapevolezza del fatto che la magia percettiva e la forza vitale sono fenomeni conseguenti alla connessione con il proprio organismo e con le sue profonde qualità. Questo può essere eseguito ponendo attenzione ai momenti più importanti e magici dell’esperienza di amore. La persona, ripercorrendo tali esperienze, deve notare quali attitudini, comportamenti, emozioni, percezioni, istinti, energie, si mobilitavano in se stessa in tali occasioni. Molto importante è che l’individuo annoti la percezione che aveva di sè stesso e della propria identità. Una volta trovato il tesoro, cioè identificate le funzioni, le qualità positive che sono fiorite dalla connessione conseguente all’esperienza di amore, la persona deve prendere coscienza della proprietà di esse. Questo può essere facilitato mediante la dichiarazione di esse nella forma: io sono (capace di amare, pieno di attenzioni, gioioso e umoristico, ecc.). La scoperta della proprietà del tesoro non svalorizza in nessun modo la relazione e l’altro. Infatti senza la relazione di amore l’individuo non avrebbe potuto scoprire il tesoro delle sue qualità interiori. Il valore che la relazione ha avuto è quindi inestimabile. In questo senso il valorizzare il tesoro, che di sua natura è inalienabile e sempre vivo, permette di divenire grati a chi, in una relazione di natura impermanente, ce lo ha fatto scoprire. La fase della scoperta del proprio tesoro interiore non viene fatta in relazione con la persona dalla quale ci si separa, ma con se stessi, da soli o con l’aiuto di un amico o un terapeuta che ci aiutino a notare che le qualità e funzioni che innescavano la magia percettiva e la forza vitale sono realmente di nostra proprietà. Di fatto come è comune essere ciechi rispetto ai propri difetti, lo stesso accade per le nostre migliori qualità; un amico o un terapeuta dall’esterno possono essere un grande sostengo per il processo di riappropriazione delle qualità proiettate all’esterno. Questa fase risulta essere la più difficile e tecnica, in quanto spesso si confondono le qualità profonde con le emozioni vissute. Le chiavi per scoprire le proprie qualità nascono dalle seguenti domande da fare a se stessi:
Pensando a un momento di magia percettiva vissuto con la persona perduta nel passato.
Come vedevo me stesso?
Come vedevo il mondo?
Come vedevo il mio amato?
Come vedevo gli altri?
Cosa ero in grado di fare?
Cosa sentivo possibile, quale progetto o sogno?
Cosa in me, quale qualit? o risorsa, rendeva possibile realizzare tale progetto o sogno?
Fase 5: uso individuale del proprio tesoro interiore. Questa fase consiste nell’orientare l’arricchimento esistenziale ottenuto dalla relazione d’amore verso una nuova sfida, verso altre affascinanti e eccitanti dimensioni di evoluzione, sviluppo, conquista. Se il tesoro interiore non viene investito verso un nuovo obiettivo esso perde il suo potenziale vitale e costruttivo e rimane congelato, se invece tale investimento avviene esso tenderà a rinforzarsi sempre più.
In questa fase la persona decide esistenzialmente di utilizzare nella propria vita, per se stessa, le qualità scoperte nella fase 4. Comunemente le risorse emerse nella esperienza di amore sono allontanate dalla coscienza dalla scissione mente-cervello. Per poter sentire come proprie tali risorse esse necessitano di essere utilizzate e integrate nel tempo, mediante una sperimentazione ed un raffinamento continuo, al pari di ogni abilità umana. Nella esperienza relazionale d’amore l’alto grado protettivo di essa permette di vivere tali risorse senza che esse siano state talmente rinforzate da permettere di reggere il confronto con situazioni relazionali meno amorevoli. Utilizzando una metafora, queste qualità personali sono come semi che hanno dato origine a delle piante giovani coltivate in serra. Esse sono assolutamente reali e vive, ma non possono ancora vivere di vita autonoma in una situazione non protetta. La relazione d’amore con il partner soddisfaceva questo bisogno. Sta adesso all’individuo costruire con il proprio piano esistenziale delle situazioni protette nelle quali permetta a tali piante di crescere e rinforzarsi. Il rinforzo delle qualità avviene mediante l’uso graduale di esse nella vita reale dell’individuo. Questo si verifica mediante decisioni e intenzioni di colorire la propria vita con le stesse attitudini, comportamenti, qualità e significati che avevano caratterizzato la storia d’amore. Quando la persona decide di utilizzare le qualità che aveva scoperto grazie all’altro succede che egli risperimenta in senso autonomo la magia percettiva e la forza vitale e questo risulta la modalità più convincente che esista della non perdita del tesoro scoperto. Il rivivere magia percettiva e forza vitale è anche secondario alla riconnessione conseguente alla decisione di utilizzare delle risorse che ovviamente appartengono al cervello biologico della persona e non al suo livello mentale. Alcune domande da porsi in questa fase, atte ad orientare l’uso del tesoro interiore, sono:
Fase 6: uso relazionale del tesoro interiore. L’uso delle qualità scoperte nella relazione di amore e poi sperimentate nella propria vita, in questa fase vanno utilizzate come dono da fare ad altre persone. Se una persona ad esempio ha scoperto la vitalità può far vibrare questa energia nelle relazioni con le persone, come una modalità di entrare in contatto con il proprio cuore e con quello degli altri. Dato che le qualità del tesoro interiore appartengono a qualcosa che non è mentale ma più profondo, la persone che decide di farle risuonare in se mentre comunica e si relaziona con qualcuno, si connette al proprio cuore e questo diventa un invito per l’altro a connettersi a sua volta. Nel tempo il tesoro interiore scoperto diventa la cosa più importante che una persona può utilizzare per coltivare delle relazioni affettive di qualità. Le domande da porsi in questa fase per riuscire a far vivere le qualità del tesoro interiore nella relazione con gli altri sono: Come posso far vivere la qualità nella relazione con…. (amico, figlio, partner, ecc.)? In che modo posso dare qualcosa della qualità a… (amico, figlio, partner, ecc.)? Che comportamento sceglierei con ? (amico, figlio, partner, ecc.) se usassi la qualità?
Conclusioni
La procedura in sei fasi qui presentata si fonda su di un concetto fondamentale che mette al centro l’evoluzione del piano esistenziale delle persone al posto dell’illusione quasi consumistica di vivere l’amore mediante il possesso di persone, oggetti, cose o situazioni. Credo che il centro di essa consista nella fase di scoperta del proprio tesoro interiore, che nella mia percezione è il punto cardine su cui si effettua il cambio percettivo, ma che veda anche la fase dello slancio verso nuove sfide esistenziali come punto di trasformazione, evoluzione e arricchimento esistenziale. Credo inoltre che questa procedura possa essere di grande sostegno nella pratica psicoterapeutica in quanto nella mia esperienza ho notato che il problema dalla perdita appartiene in un modo o nell’altro alla maggior parte dei pazienti che ho conosciuto.
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