- LA DEA DELLE SELVE, I DIOSPERI E LA MALABESTIA
Da Bologna a Firenze – La Via degli Dei, settembre 2020
Di Massimiliano Arbini.
Avete presente una convention di Forza Italia? Probabilmente no, io nemmeno.
La mia prima impressione, mi ricorda quella situazione, dove un presentatore ipertrofico esalta la platea, facendo leva sull’autostima, la forza del gruppo, il sostegno reciproco. Continua incitando ad alta voce, inneggiando con motti e slogan autoreferenziali. Insomma, tutto quello che io generalmente qualifico come un eccesso di entusiasmo.
Ecco, adesso non so voi, ma a me scatta subito quella cosa, quella ritrosia, che mi vien da pensare, ma aspetta un momento, io non ti conosco, io qui non conosco nessuno, non è che da subito possiamo diventare superamiconi così, solo perchè, non so, condividiamo la stessa patologia, come avremmo potuto condividere la stessa marca di calzini.
Diciamo subito che io, come persona, come carattere, non è che sia particolarmente diffidente, e nemmeno che ci voglia molto per farmi coinvolgere. Almeno dopo due Negroni… Ma, insomma, era mattina, forse le nove, e non avevo preso nemmeno il caffè. Un inizio un po’ forte per i miei gusti. Ma, tranquilli, avrei abbandonato ben presto le mie reticenze iniziali, come leggerete di seguito.
Ero arrivato poco prima con un discreto ritardo, in stazione, a Bologna, e subito trovavo Marco che mi accompagnava al briefing in centro. Io tendevo ben bene le orecchie, perchè mi aspettavo da un momento all’altro di sentire l’eco degli accordi di Beppe Maniglia. Allora avrei capito di essere davanti a San Petronio, in Piazza Maggiore. Ma forse era troppo presto, gli Dei erano ancora a colazione, cappuccino e cornetto, si sarebbero visti più tardi. Lucifero invece era già operativo, ci aspettava al 666 ° e ultimo arco di San Luca, materializzandosi in minuscole goccioline di vapore acqueo, che si condensavano man mano lungo la mia schiena, lì, dove maledivo lo zainetto senza rete, la maglietta non-dry-fit, la non-borraccia in pet della San Benedetto, in offerta all’Esselunga. Meno male che le scarpe erano buone.
Ed era solo l’inizio.
Partiva il cammino e, man mano che si procedeva, si scioglievano i muscoli delle gambe, insieme alle timidezze iniziali. Poi, i primi passi nel bosco, aiutavano a stemperare il caldo e qualche resistenza iniziale.
Ora, dentro nel bosco, si sà, non c’erano punti di riferimento, ci si doveva affidare ai propri accompagnatori. Per quanto io potessi distinguere dalle foglie, due o tre tipi di alberi diversi, un boschetto di robinie poteva essermi venduto come una foresta sacra di lecci secolari, mi capite? Avremmo potuto girare per la stessa collina in tondo, come i criceti, per sei giorni. Per fortuna avevo un biglietto di ritorno valido dalla stazione di Santa Maria Novella, quindi smettevo di chiedere a Siri la mia geolocalizzazione. Allacciavo il cordino allo zaino con fiducia, concentrandomi, un piede dopo l’altro, un passo dopo l’altro, un respiro dopo l’altro.
” Signore, insegnami la Route: l’attenzione alle piccole cose,
al passo di chi cammina con me per non fare più lungo il mio;
alla parola ascoltata perché non sia un dono che cade nel vuoto;
agli occhi di chi mi sta vicino per indovinare la gioia e dividerla;
per indovinare la tristezza e avvicinarmi in punta di piedi;
per cercare insieme la nuova gioia.
Signore, insegnami la Route: la strada su cui si cammina insieme,
insieme nella semplicità di essere quello che si è;
insieme nella gioia di avere ricevuto tutto da Te;
insieme nel Tuo amore.
Signore, insegnami la Route
Tu, che sei La Strada e la gioia.”*
Aggiustando il respiro passo dopo passo, trovando il ritmo insieme al compagno, sempre con più fiducia, energia, entusiasmo. Funzionava! Allora scoprivo che non erano una setta religiosa che ci obbligava ad abbracciare gli alberi, non erano di Forza Italia, e , io, comunque, avevo già deciso cosa votare al referendum.
Poi, che si trattasse veramente di un bosco di lecci sacri, lo capimmo fin da subito, quando Giove, vedendoci già sudaticci e ansimanti a metà del portico di San Luca, decise di mandare Diana, la Dea delle selve, Dea delle montagne, protettrice delle donne e portatrice di luce, a proteggere tutti noi. Essa prese le sembianze di Sharon, la nostra capo guida, che buttati arco d’oro e faretra perchè animalista convinta, ci scortava lungo tutto il cammino. Ogni giorno dalle sue mani vergini, ricevevo una bacca, una mora, un fico che lei sceglieva dagli alberi sacri che incontravamo lungo il cammino, anzi, erano gli alberi sacri che sceglievano lei. Non importa che fossero cresciuti al bordo di un campo, o all’interno di una cancellata in acciaio elettrosaldato, ma, si sa, come ci ha ricordato Igino, Proudhon disse che la proprietà privata è un furto. Ogni volta che ricevevo questi doni la mia energia aumentava, mi sentivo sempre meglio, così che dal secondo giorno rinunciavo a bere il cocktail di farmaci antidolorifici che prendevo la mattina dopo colazione. Anche se vi devo confessare che non ho mai rinunciato a spalmarmi un po’ di arnica per cavalli sotto i piedi, così, diciamo, per scaramanzia.
Forse, poi, a qualcuno, questa cosa della proprietà privata prendeva un po’ la mano, e alla quarta pera che spariva dal buffet della colazione, Zeus, il padre di tutti gli Dei, Giove per i latini, decise di intervenire di persona. Prese le sembianze di un canide, un Labrador, ex cane mordace, e, per confondere la propria identità, decise con astuzia, di chiamarsi Suez. Forte come il tuono, veloce come il lampo, agile come una tartaruga Ninja. Così la pera, così ben conservata, e tenuta al riparo all’interno dello zaino per tutta la salita, appena esposta alla luce del sole veniva subito predata ed ingoiata in un sol boccone. La legge del contrappasso. La Malabestia.
Stessa sorte occorreva al panino di Maria, appeso alle sue mani a circa un metro e mezzo da terra. Non c’era salvezza, nemmeno per Elena e Maria, le dolci cugine di Crema. Occasioni che venivano riprese e schernite nel terzo tempo, nel rituale sciamanico, che ogni sera verso le sei, ci vedeva coinvolti davanti ad una birra ghiacciata. Tutte queste storie, questi ritornelli, diventavano tormentoni che rinsaldavano il gruppo.
Ma lasciamo il terzo tempo alle risate che abbiamo provocato, ai jingle che abbiamo cantato, alle confidenze che abbiamo scambiato a tarda notte. Qui rimaniamo nel sentiero, rimaniamo nei boschi, boschi splendidi, boschi come cattedrali.
Un passo dopo l’altro, un giorno dopo l’altro. Sharon dettava la girandola degli accoppiamenti, era bello conoscersi così, si condivideva un pezzo di cammino, un pezzo di vita, un Kinder Cereali. Poi si cambiava, un pezzo di strada nuova, prima in salita, poi in discesa, nuove storie, nuove confidenze, fino a tracciare un solco e mettere a nudo le radici, le nostre, come quelle esposte degli alberi, mentre camminavamo in una sorta di trincea, costituita da un muro di radici. Ognuno di noi svelava un pezzo di storia, e la strada faceva lo stesso, facendoci calpestare un tratto della via Flaminia, una strada militare romana in cresta, tornata alla luce grazie al lavoro e alla passione di due volontari locali, Santi e Agostino.
Un altro bosco, un altro ancora, alcuni tratti erano come autostrade, altri praticamente dei piccoli sentieri che ci costringevano in fila indiana
Poi capitava un poggio, un acero secolare, un prato di erba secca che, a insindacabile giudizio della nostra Dea, protettrice di tutte le ninfe, veniva dichiarato campo base per il pranzo. Allora ci disponevamo in ordine sparso, slacciavamo le scarpe., controllavamo la posizione della Malabestia, nel caso che Damiano e Marzia fossero distratti, e, finalmente, potevamo azzannare il panino assegnatoci alla partenza. In tutto questo tempo, Dario, seduto nella posizione del loto tibetano, continuava gli esercizi di PNL, provando a convincere un tafano a diventare bretariano, così da essere esempio per la sua specie, smettendo quindi di molestare la nostra.
Gli alberi parlano? Lo sostiene Stefano Mancuso, prima di lui Herman Hesse, e prima ancora Ovidio nelle Metamorfosi.
” – …dissolvi, mutandole, queste mie fattezze per cui troppo piacqui –
Ancora prega, che un torpore profondo pervade le sue membra,
il petto morbido si fascia di fibre sottili,
i capelli si allungano in fronde, le braccia in rami;
i piedi, così veloci un tempo, s’inchiodano in pigre radici,
il volto svanisce in una chioma: solo il suo splendore conserva…” **
Poi, – un bel dì vedrem levarsi un fil di fumo… – fermi su un falso piano a ricompattare il gruppo, sentivamo questa lirica bellissima. Il bosco come un teatro. La immaginavo, nascosta dalle verdi quinte del fogliame, il tono sempre più alto, ed appariva Cristina al braccio di Igino, che cantava l’aria di Madama Butterfly. Bellissimo. Butterfly ci avete mai pensato, si potrebbe tradurre con qualcosa tipo ali di burro, avrei dovuto chiederlo a Clara, a me sembra perfetto per le farfalle, vero?
Passo dopo passo ci si avvicinava a Firenze, il gruppo era sempre più coeso, c’era molta energia. Sull’ultimo poggio ci riunivamo per l’ultima volta in cerchio, da lì in poi, come ripete un mio caro amico, era più facile, – a scendere è tutta in discesa!- Si, ma ancora dovevamo fare i conti con noi stessi, prendere coscienza che eravamo alla fine del cammino. Qualcuno di noi recitava una poesia, qualcuno ringraziava gli accompagnatori, i boschi, la terra, Dio. Per fortuna che quel giorno portavo gli occhiali da sole, per due volte sentivo l’umor vitreo trasformarsi in piccole goccioline salate, vinte dalla gravità. Avrei dovuto ripetere quello che hanno già detto, quello che hanno già scritto altri, molto meglio di me, ma balbettavo qualcosa di confuso, di banale. Mi ero emozionato. Mi ero commosso.
“L’Acqua ha detto :
– Fluisci, non ristagnare. La vita è movimento costante, non si ferma.
Il Fuoco ha detto :
– Trasformati, non rimanere immobile nel vuoto della calma apparente. La vita è un incendio, un crepitio costante.
L’Aria ha detto :
– Liberati, sciogliti, staccati da tutto ciò che ti impedisce di essere e volare libero. La vita è un sospiro, un respiro, un momento.
La Terra ha detto:
– Sollevati, eleva i tuoi rami e fiorisci. La vita contiene il mistero di ogni seme e l’antica saggezza di tutte le foreste.
Il Cuore ha detto :
– Apriti, espanditi e ama. Ama tutto ciò che la tua infinita anima abbraccia. La vita, se non contiene e non è contenuta nell’amore, non è vita.'” ***
Mi ricordo la discesa verso Fiesole come un sogno.
Allora avevo il privilegio d’esser accompagnato dalla Regina del sottobosco, la Dea delle selve, e mi sentivo leggero, leggerissimo. Mi sentivo come se rotolassi su un piano inclinato, senza fatica. Sentivo una sorta di elettricità nell’aria, come se qualcosa si trasformasse in energia, e io la respiravo ad ogni passo.
Avrei potuto continuare all’infinito, come su un nastro di Moebius, ma era un nastro d’asfalto che portava dalla zona residenziale al centro. Allora mi veniva in mente che avrei potuto chiedere qualcosa agli Dei, qualcosa come fermare il tempo, fermarlo in quell’istante. Ma, si sa, gli Dei, sono bizzarri e molto capricciosi, chissà in quale metamorfosi mi avrebbero mutato, meglio continuare a vivere, meglio continuare a camminare, un passo dopo l’altro, un altro ancora.
Poi tracimavamo tutti insieme, sotto il portico del Municipio di Fiesole, come i Lanzi sotto il loggiato di Cosimo il vecchio.
Sbrandati e felici. Era finita.
Ora, passato qualche giorno, dovrei rielaborare questa esperienza, dovrei farne tesoro, trasformare questo cammino in un itinerario della mente. Ma io, se dovessi guardare attentamente dentro la mia mente, forse vedrei un labirinto tipo quello dell’Overlook Hotel di Shining! Cosa dovrei fare? Abbracciare nuovi modelli di vita, evolvermi in stati d’animo migliori, positivi, ricalcolare le priorità? Difficile, difficilissimo, però una cosa l’ho decisa, in questo preciso istante, da adesso, voglio sballarmi solo con i Fiori di Bach!
Fine
Ovviamente ho usato solo nomi di fantasia, fatti e personaggi sono il frutto del boschetto della mia fantasia
Grazie a tutti e mi scuso con chi non ho menzionato, che sono stati per poco o per tanto, compagni di viaggio, come Paolo, Roberto, Irma, Elisabetta, e , mi scuso ancora se ho dimenticato qualcuno.
* poesia scout-grazie Maria-
** Ovidio Publio Nasone, Le metamorfosi
***(Ada Luz Márquez in Susurros de la Tierra) -grazie Sharon-
n.b. I diosperi, sono i cachi , un frutto comune, che matura a novembre, che non c’entra niente con il racconto, mi piaceva solo il nome, i diosperi.
n.b. Le foto sono state rubate dal profilo Facebook di Noisy Vision