Sul Monte Cimone: Oltre l’orizzonte scomparso

1683

Si va in montagna per tante ragioni: scampare l’afa cittadina, rimpiazzare il cemento con il bosco, mettersi alla prova, ritrovare la pace persa tra semafori e computer. Si sale in quota per ammirare il panorama, per cambiare punto di vista su sé stessi e sul mondo. Per qualunque ragione ci si avvii verso i monti, la sfida di solito sta nella salita, perché tanto – si dice – a scendere tutti i Santi aiutano.

Ma quando sei ipovedente a scendere giù da una montagna, di Santi ce ne vogliono davvero tanti.

Ma questa, che vado a raccontarvi oggi, più che una storia di santi e miracoli, è un affare di Umani e di Amore.
Ricordo che d’inverno, quando eravamo piccini, mia mamma invitava me e mio fratello ad ammirare il Monte Cimone dalla finestra della cucina. Vedevo bene e mi ricordo quelle deliziose spruzzate di panna montata tra cielo azzurro e orizzonte. Non sapevo stare sugli sci, il Cimone sembrava inarrivabile e immaginavo che ci potessero salire solo i grandi, tutti imbacuccati e infreddoliti. Diventando ipovedente l’orizzonte si è fatto sfuocato, il Cimone è scomparso da quella finestra e io ho dimenticato in qualche cassetto anche l’idea che un giorno potesse essere una meta possibile anche per me.

La vita però ha più fantasia del sogno e alle 11.11 di domenica, grazie alla mia preziosa amica Ale, a Moro e al gruppo di Run&Fun mi trovavo sul Sentiero delle Atmosfere proprio “a pochi minuti” da quei 2165 metri di quota del Monte Cimone. “Che famo? Vuoi salire?” chiede Ale con una certa titubanza. “Beh, contando che sono le 11.11 e niente è a caso, se te la senti, io proverei” le rispondo.
La sento indecisa, è preoccupata per la discesa perché mi conosce.
L’ipovisione, la mia ipovisione, porta con sé l’abbagliamento e l’appiattimento di ogni profondità; la luce bianca del Sole trasforma una pendenza in un dirupo, uno scalino di roccia in una macchia bianca senza spessore né appiglio. Quando sali puoi prendere i tuoi punti di riferimento, ma quando scendi, l’unico riferimento in certi casi, montagna a parte, è il vuoto.
Da sempre preferisco sentirmi scoppiare i ventricoli per la fatica di salire piuttosto che cercare di sopravvivere in discesa. Ma se non ti basta la pianura, se per qualche inspiegabile ragione adori sentire il vento della cima, e ogni volta che ti trovi sotto una vetta ti viene voglia di arrivarci sopra e respirare forte, sai che la sfida per te e per chi è con te sarà doppia, ma – se l’istinto ti dice che ci sono Umani e Amore a sufficienza intorno, non puoi che provarci.

Abbiamo camminato fino a Pian Cavallaro ed è andato tutto bene, e adesso? Ale vuole arrivare lassù insieme quanto lo voglio io. Sa quanta gioia potrei provare, amiamo entrambe la montagna, amiamo entrambe questo genere di sfide, mi ha voluta qui ma ora non sa se fidarsi di se stessa, di me e dei miei limiti, così indecifrabili, sfuggenti, mutevoli.
Guarda altrove in cerca di una risposta, io so che deve scegliere lei per sé, è libera quanto me e il gioco del cammino è questo. Se camminiamo insieme, scegliamo insieme fin dove arrivare. Non c’è niente di personale, non sono io e non sei tu, siamo noi nel tutto di energia. E’ l’ora della sincerità, non quella dell’orgoglio o dell’ego.
Diciamocelo, non è una roba scontata accompagnare una persona che vede poco in montagna. E se non ti fidi incrollabilmente di te, se non hai una buona comprensione dei tuoi e dei suoi limiti e non sei anche un po’ saggiamente incauto, il timore almeno all’inizio ce l’hai e se non ce l’hai, sei solo incauto e non saggio.

Ale si guarda intorno e proprio lì intorno i suoi occhi (e anche i miei se non si fossero persi tra gli occhiali da sole e la luce abbagliante) trovano un gancio. Ci sono anche loro, Loris e Lauro pronti a salire, e abbiamo il sostegno di Moro e del gruppo. Ora sì, possiamo farcela.
Quel sentiero è difficile, Ale lo sa, il sole appiattisce anche i burroni e questo lo so io, lo sa lei e stanno per impararlo anche Loris e Lauro, che l’ipovisione, almeno la mia ipovisione,, l’hanno appena incontrata e me, mi hanno appena conosciuta.
E’ deciso, si va, pronti tanto a conquistare la vetta e la discesa, quanto a rinunciarci se dovesse rivelarsi sfida troppo ardua. Un passo e poi l’altro.
Si sale.
Ale è davanti a me. Fisso le sue scarpe e i suoi polpacci sottili, ammicco per seguire la danza dei suoi passi e delle sue bacchette. A volte perdo il punto di riferimento. Loris sorveglia, Lauro sta dietro, pronto ad acciuffarmi per lo zaino se mi sbilancio e a ricordarmi che indipendentemente da quel che vedo o non vedo, tra me e il dirupo ci sono 50 centimetri di buono. “Leggermente a sinistra Nadia”. Ho paura, ma lui vede, e cerco di seguire i suoi consigli, mentre il mio sguardo è concentrato nel ricostruire con bacchette e scarpe i passi di Ale.
“Dimmi se parlo troppo o se le indicazioni ti servono” si raccomandano a turno Lauro e Loris, al primo giorno di scuola di ipovisione. E io sono già grata, perché le domande fanno la differenza almeno quanto la capacità di sintonizzarsi. Loris sostiene e sorveglia, Lauro rassicura, dà indizi e al bisogno mi acciuffa, Ale guida. Io do il meglio di me, ringrazio ad ogni passo, sento imbarazzo e gratitudine che si mischiano allo stupore e mi concentro su macchie, sassi, ginocchia e battito cardiaco.
Procediamo e nel bagliore del sole una macchia dalle linee squadrate mi fa ombra. C’è cielo, c’è vuoto, c’è bianco. Cosa ci fa un muro? “E’ l’osservatorio” mi dicono. E poi qualche altro passo su una ghiaia scivolosa ed eccoci lì, in mezzo a tutti quelli che quel sentiero lo hanno fatto mille volte e a quelli che forse come noi hanno dubitato almeno per un attimo sulla riuscita dell’impresa. Gli altri sono già lì, ma poco importa. Ognuno ha i suoi tempi, e noi da squadra, possiamo dire “Ci siamo!”.

Tempo di un respiro, uno sguardo al panorama con descrizione annessa, una barretta energetica, qualche foto e un abbraccio pieno di sudore e soddisfazione, tre giretti intorno alla Madonna che immagino più che vedere, e… “Daje, mo’ se divertimo!” Il tono di Ale è quello di chi sa che è ora di concentrarsi, ma sa anche che non c’è scelta: la discesa incombe.
Metti il piede qui, scala… No, è alto”. Punto le bacchette, è ripido, sotto i piedi il vuoto. Ho anche le gambe corte. Non è tempo dell’eleganza da Madame Pompadour per cui, affido le bacchette a Lauro e metto giù il sedere. Quattro zampe, le mani sulle rocce e i glutei a dare stabilità. Lauro mi presta i guanti, di nuovo la gratitudine, lo stupore, il cuore e la meraviglia di una sfida che diventa comune. Paura, qualche inciampo, riflessi pronti per acciuffarmi al volo mentre scivolo, passi lenti e soste in equilibrio per lasciare passare chi è più veloce o sembra esserlo. “Buongiorno, grazie, passi pure, occhio…”
Occhio?
Concentrazione massima, ironia, battute e di nuovo concentrazione.
Stanchezza. Benedetta stanchezza, nelle ginocchia, nelle braccia, nella fronte.
“Dai che è quasi fatta, il peggio è passato”. E il cielo, il bianco e il vuoto. Il vento e la polvere nelle mani. Non sono sola, non siamo soli. Riconosco qualche masso e, qualche passaggio, mi chiedo quando potremo tirare un sospiro di sollievo e intanto ringrazio, ascolto il vento e la voce di Ale, gli indizi di Lauro e Loris. Noto che cercano insieme a ogni bivio la strada migliore per me, interrogandosi se è meglio ripido e liscio o più dolce ma sconnesso. Me lo chiedono, poche parole, sguardi, intuizioni, logica e scommesse. Procediamo così per un tempo che non può essere definito tra minuti e lancette perché appartiene a un’altra dimensione straniera agli orologi.

Poi finalmente l’erba e una discesa un po’ più fluida.
E’ andata? Davvero?
Siamo al sicuro. Siamo lì, di nuovo alla stele con San Geminiano sopra… Forse ci ha messo lo zampino anche lui in questa impresa. Poco importa, i santi aiutano, ma sono sempre gli Umani a fare la differenza, e a fare la differenza stavolta siamo stati NOI.

Un’anno fa altri Umani mi hanno portata sui Sassi di Rocca Malatina, e quegli stessi Umani mi aiutarono a scendere.
Stavolta ho respirato sul Cimone.
Il senso di gratitudine verso ogni sorriso, ogni voce, ogni acciuffatore, ogni compagno di un intero cammino, di un giorno o di due ore è immensa. E ogni volta la meraviglia più grande è sentire che quando il gruppo si ricompatta perché “Ci siamo tutti” la sfida più delicata diventa il traguardo condiviso e la soddisfazione che ne consegue.

Grazie alla mia Ale, al Moro, a Loris e Lauro, ad Annalisa con la sua torta di fine impresa, all’intero gruppo di Run&Fun per avermi accolta e accompagnata in questa avventura, forse la più difficile finora per me in termini di escursionismo.
Ancora una volta grazie alla rete gialla e magica di NoisyVision Onlus di cui sono fiera di essere parte, con cui ho riscoperto la gioia del cammino in natura e con cui condivido ed espando questo dono passo per passo, cammino per cammino, progetto per progetto.
Grazie a voi che sapete cogliere la sfida di altri come la vostra, che sapete che non siamo soli se siamo Umani e sappiamo camminare insieme.

Con gratitudine e affetto,
Nadia

Nadia e Ale abbracciate
Nadia e Ale abbracciate
Nadia segue Ale a poca distanza
Nadia segue Ale a poca distanza
Il gruppo esulta sulla cima del monte Cimone
Il gruppo esulta sulla cima del monte Cimone
un abbraccio di gruppo
un abbraccio di gruppo

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.