Accessibilità: la nostra visione oltre le parole

di
16 dicembre 2019

Ludwig Wittgenstein, autore del XX secolo che tanto ha dato al pensiero occidentale e alla filosofia del linguaggio scriveva che “le parole sono come la pellicola superficiale su un’acqua profonda”. Cosa c’è sotto le parole che usiamo? Quanto pesano le parole nella costruzione del nostro pensiero? Non siamo forse anche le parole che utilizziamo? E allora vale la pena fermarsi e osservare i vocaboli a cui siamo più legati e i concetti che essi portano con sé.

Una delle parole che ricorrono più frequentemente sulle nostre pagine è “accessibilità”, e proprio su questo ”combinozzo” di 13 lettere vorrei soffermarmi ora.

Per definizione accessibilità è la caratteristica di ciò che è accessibile cioè di facile accesso. Riconosciamo come accessibile qualcosa che ha un prezzo sostenibile, un luogo che si raggiunge facilmente, una pagina web costruita in modo da essere leggibile anche da chi ha difficoltà visive o un locale senza barriere architettoniche. Al contrario definiamo inaccessibili i prezzi di certe proposte turistiche o i menù di alcuni ristoranti stellati, ci indigniamo se i costi per la salute sono inaccessibili e protestiamo se i servizi igienici del locale non sono abbastanza ampi per una sedia a rotelle o si trovano alla fine di una scala a chiocciola buia e scomoda. Ma ho sentito parlare di inaccessibilità riferendosi anche a locali in voga o a storie d’amore ritenute al di là delle proprie possibilità. Quel che mi è chiaro da sempre, ma forse ancora di più da quando parlo, scrivo e tratto di disabilità e di persone, è che al di là dei parametri istituiti per legge rispetto ad alcuni special needs, l’accessibilità ha in sé una dimensione soggettiva complessa che muta a seconda dell’individuo, dei suoi limiti, del contesto in cui vive, della cultura a cui appartiene e a logiche di gruppo, di comunità e di visioni condivise. Nel caleidoscopio che è l’universo umano, proviamo a fare luce su di noi e su cosa riflette dentro di noi il termine in questione.

C’è un aspetto attivo e concreto legato al termine “accessibilità”: se si vuole rendere qualcosa accessibile, in piccola o buona parte, lo si trasforma. Se ho davanti un libro, per leggerlo devo digitalizzarlo, estrarre il testo contenuto nelle sue pagine attraverso un programma di riconoscimento caratteri e poi farlo leggere allo screen reader che abita il mio computer. Se voglio che il mio intervento ad una conferenza sia accessibile a chi non può sentirmi, devo sottotitolarlo o chiedere aiuto a chi sa trasformare la mia voce in segni LIS. Se voglio che la mia città sia accessibile, devo abbattere le barriere architettoniche e sensoriali, usare in modo intelligente le tecnologie e dotare gli uffici pubblici di sistemi che ne garantiscano la fruibilità fisica – ma non solo – a chi ha una disabilità.

Questo tratto attivo dell’accessibilità è quello su cui si fonda ad esempio la campagna #yellowtheworld, che tuttavia abbraccia aspetti molto meno tangibili ma ugualmente impattanti della trasformazione. La Via degli Dei così come gli altri cammini e le nostre escursioni di Passi Gialli non diventano accessibili perché si trasformano fisicamente i sentieri, ma perché si attivano strategie per cui i limiti vengono considerati e condivisi in dinamiche relazionali di gruppo e perché chi si occupa del progetto ha acquisito competenze specifiche su una gestione positiva del deficit sensoriale.

Ma c’è di più: qui non si tratta – nella nostra prospettiva – di pensare semplicemente a come semplificare l’accesso a determinate proposte e esperienze dai toni gialli a chi ha una disabilità visiva o sensoriale. Ciò che proponiamo vuole essere ricchezza, bellezza, insegnamento e dono per tutti. Qui si inserisce la filosofia del CON. Non facciamo progetti per i disabili visivi, ma CON i disabili visivi. Non ci interessa creare semplicemente occasioni adatte a una minoranza. Vogliamo di più. Vogliamo che si creino le occasioni giuste per incontrarsi ognuno nelle sue diversità e con i suoi limiti e talenti. E siamo noi – quelli che si sono sentiti “fuori”, quelli che non leggono le scritte in piccolo e non vedono oltre il proprio naso, a trovare la strada e a decidere di camminare insieme a tutti gli altri, consapevoli che avremo bisogno di aiuto ma che questo non deve per forza essere un blocco ma al contrario può trasformarsi in una risorsa se inserito in una dinamica di incontro – appunto – inclusiva.

Questo porta con sé ovviamente un cambio di prospettiva per tutti: da un lato chiediamo a chi si confronta con il nostro limite di accoglierne la presenza, di riconoscerlo e di rispondere ad esso in modo aperto, comprendendone non solo il costo in termini di aiuto da dare, ma anche il valore in termini di insegnamento e di ricchezza di esperienza. Viceversa la prospettiva inclusiva che promuoviamo richiede a chi vive dall’interno il limite di essere disposto ad abbracciare una modalità nuova di riconoscerlo e di riconoscersi. Invitiamo ad esempio chi è ipovedente o non vedente a riconoscere con lucidità i propri bisogni, a chiedere aiuto quando serve, ma anche a dare il meglio di sé, illuminare i propri talenti, a condividerli con gli altri, a prendere parte attiva alle situazioni rinunciando a porsi esclusivamente nel ruolo del “bisognoso di aiuto” o dell’ “autonomo a tutti i costi”. I cammini, le esperienze in barca a vela, le escursioni dei Passi Gialli ed ogni progetto che è nato e nascerà dalla rete gialla è inclusivo perché parte dal presupposto che la responsabilità e il piacere dell’incontro vanno condivisi, che camminare insieme significa farlo responsabilmente, rinunciando a nascondersi dietro a luci e ombre, ma accettando – anche quando è difficile – sé e gli altri. Da quell’incontro, vissuto con attenzione, nascono relazioni genuine che aiutano chi ne è coinvolto a vedere sé stesso più chiaramente, a riconsiderare il proprio punto di vista, a rimpiazzare – magari – un pregiudizio con una conoscenza.

E’ così che  l’accessibilità diventa qualcosa di più, diventa inclusività, diventa il tentativo costante di fare incontrare persone, storie, visioni e prospettive diverse. E’ quell’impegno continuo di ricreare in ogni evento, cammino, escursione e progetto, quel clima aperto, accogliente, inclusivo, che permette di sentirsi a casa e di fare un passo in più, anche di sognare, perché c’è qualcuno che è pronto a farlo con noi. Ed è proprio quel clima che vorremmo animasse anche le nostre città, le nostre comunità, ogni incontro. Da qui partiamo, qui vogliamo arrivare insieme. Utopia? No, il 2020 in luce gialla.

Buon Natale e buon 2020 a tutti!

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