Era pieno Agosto, faceva un gran caldo in tutta Italia, in tutta Europa.
Stavo ultimando i preparativi prima di partire per Napoli, dove ci saremmo imbarcati su Adriatica per salpare verso l’isola d’Elba. Il progetto Anche a Nettuno Piace Giallo stava per trasformarsi in realtà.Nadia aveva condiviso i suoi pensieri dal molo (leggi il post qui), esternando le sue insicurezze, le sue paure, la sua eccitazione per qualcosa che era tutto da scoprire.
Due mesi fa eravamo in navigazione sul Mar Tirreno, nel bel mezzo di quell’avventura e ora i pensieri dal molo sono quelli di chi è arrivato, di chi è stato protagonista di quella storia.
Che storia!
Una di quelle in cui le parole sembrano piccole, le frasi sempre troppo corte per descrivere i contorni delle emozioni.
A Napoli l’accoglienza è stata da manuale. Proprio come si addice alla gente del Sud. Calorosi, solari, disponibili.
L’augurio di Buon Vento e’ qeullo di un campione della vela per non vedenti, Massimo Mercurio Miranda, vincitore del Campionato Mondiale Match Race Homerus.
Angela Perna, nostra socia, ha mobilitato tanti amici. Quelli dell’ANPVI – Associazione Nazionale Privi della Vista ed Ipovedenti di Napoli, dell’HSA – Handicapped Scuba Association di Napoli, della Lega Navale di Napoli.
Mario Mirabile, presidente dell’Unione Italiana Ciechi e Ipovedenti di Napoli, ha organizzato i trasporti locali dalle stazioni agli alloggi in città.
Il Pastificio Di Martino ci ha donato diversi chili di Pasta di Gragnano e altri prodotti alimentari..
Anche all’Ostello AIG Mergellina, dove abbiamo soggiornato la notte del 23 Agosto, abbiamo ricevuto un’ottimo servizio.
E’ qui che si è radunato l’equipaggio.
Tutti puntualissimi, come da programma e dopo l’arrivo di Vincenzo da Trapani, siamo andati verso il lungomare per la nostra prima cena.
Eccoci, siamo 10, tutti a tavola. Non sappiamo niente di noi, o forse quelle poche cose che ci siamo detti nella chat su di gruppo su Whatsapp. Parole senza volti, senza voci, senza contatto.
Invece li, a quel tavolo, poco lontano dall’ostello, eravamo costretti a sentirci subito vicini, fosse anche solo per accompagnare i ciechi e gli ipovedenti.
Le distanze sono già azzerate, siamo già nella dimensione stretta che a bordo sarà ancor più marcata.
Sabato mattina c’è la conferenza stampa presso la sede della Lega Navale, poi la passeggiata sul lungomare sotto il sole bollente per arrivare al molo dove è ormeggiata Adriatica.
Arriviamo al molo.
Eccola, Rossa. Fiammante.
Adiratica.
Ci accoglie Bruno, il capitano. Siamo 11. Siamo tutti.
Bruno ci fa sentire subito a nostro agio. Ci assegna le cuccette e poi facciamo un briefing generale. Le prime informazioni su come funzionerà la vita a bordo, su come si tira l’acqua del bagno, su come si aziona la pompa del lavello della cucina, su come si prepara un buon caffè.
Le urla di Yellow The World non funzionano. Non bastano a stemperare la tensione. Non basta nemmeno la cena.
Alcuni di noi sono spaventati dagli spazi ristretti, dagli oggetti sparsi sul ponte su cui si può inciampare, dal movimento continuo, dalle forme nuove, il caldo infernale, il vento che non soffia.
E’ domenica. E’ mattina.
Il capitano prepara la barca per salapre. Leva le cime che ancora la legano alla banchina. Toglie la passerella, accende il motore, si parte.
Lentamente usciamo dalla nicchia tra due yacht enormi, rumorosi e vuoti.
Sui nostri volti sono stampati sorrisi, un po’ ebeti un po’ veri, affaciati su Napoli. L’ altra faccia di Napoli, quella che si vede dal mare.
Napoli, illuminata dal sole del mattino. Lucente.
Una foschia di afa avvolge il Vesuvio.
Non c’è quasi nessuno in mezzo al porto. Qualche piccola barca da uscita domenicale.
E’ tutta per noi la scena.
Per questa barca rossa, con gli alberi bianchi, le vele chiuse, tranne una, uno strallo giallo che sventola a malapena.
E’ la nostra bandiera gialla, con il logo del progetto ANCHE A NETTUNO PIACE GIALLO e una enorme scritta #YellowTheWorld.
Adriatica incastrata tra due yacht al Molo di Napoli
Rosso e giallo sul blu del mare.
Sono i colori primari di questo inizio, di questa nuova storia che stiamo per dipingere.
Io sono a prua, aggrappato all’ albero.
A malapena contengo le lacrime.
E’ tutto troppo grande e potente perché’ il cuore lo possa contenere.
Quei primi metri, quei lenti nodi, quella calma piatta, Napoli che scivola via diventando orizzonte, le risate degli altri componenti dell’equipaggio, quello strallo giallo, quello scafo rosso. Tutti questi dettagli compongono un’immagine che è la traduzione reale di tutto quello che era fatto di telefonate, email, idee, mappe, comunicati stampa, discussioni, parole.
Un progetto che diventa realtà, con tutta la storia di un viaggio ancora da vivere.
Quello che sembrava qualcosa di troppo grande era, finalmente, circoscritto a quelle gocce di sudore sulla fronte, alla sete, al suono dell’acqua rotta dallo scafo, al volo di un gabbiano, alla bandiera che sventola.
Piccoli dettagli veri.
Siamo in viaggio.
E’ tempo di goderselo davvero.
Quella scena rimarrà nella mia memoria. Con la stessa nitidezza con cui mi è rimasta la partenza di Heraclitus dal molo di Simonstown, in Sudafrica.
Sono passati oltre dieci anni tra le due partenze.
Il filo conduttore non è nemmeno tanto sottile. Due progetti diversi, equipaggi diversi, eppure sono certo che la forza di imbarcarmi in questo ambizioso progetto nasce dall’esperienza vissuta con Heraclitus.
Sono cerchi che si chiudono, che trovano un senso di lettura.
Uno dei punti di congiunzione è Napoleone.
Durante la traversata dell’Oceano Atlantico Meridionale ci siamo fermati un paio di giorni all’isula di Sant’Elena, luogo dell’ultimo esilio di Napoleone, tra il 1815 fino alla morte, nel 1821. Il viaggio con Adriatica si è concluso all’isola d’Elba, dove l’imperatore fu esiliato nel 1814.
Un altro punto di congiunzione importante è l’ipovisione. Ovviamente. Visto che ormai è chiaramente passata dall’essere un limite ad essere il motore delle esperienze più esaltanti della mia vita.
Se su Heraclitus mi imbarcai forse per fuggire da una condizione che non avevo ancora accettato, ero su Adriatica semplicemente per vivere il mare con altre persone, alcune delle quali ipovedenti.
Un ribaltamento totale del punto di vista.
Dario su Heraclitus, 2009
Sono tanti i pensieri che ho consegnato al mare, e forse alcuni torneranno a galle in futuro, così come mi sono reso conto solo diversi anni dopo di come il viaggio su Heraclitus abbia contribuito alla mia accettazione (leggi questo post).
Ma c’è un pensiero che ho consegnato al mare e che è tornato subito a galla, chiuso in una bottiglia insieme a quelli degli altri marinai che erano con me.
Forse, un giorno, qualcuno li troverà.
Cara bottiglia
ti consegno questo messaggio
questo pensiero
Lo lascio galleggiare dentro di te,
sperando che approdi su qualche spiaggia.
Spinta dal mare e dalle onde.
Mare, ti chiedo scusa per questo pezzo di vetro
se solo fossero tutti i sogni
le cose che ti buttiamo dentro.
Bottiglia, Mare
dove porterete la luce che ho visto,
il vento che ho sentito,
il movimento di questo corpo.
Dove porterete questo mio senso di libertà
Libertà.
Oa che sei qui,
scritta, e come me galleggi e ondeggi
e vai e su uno scoglio
ti spacchi
E tu,
bambino che giochi,
pescatore che peschi,
ragazza che piangi,
prendila da questa bottiglia
e spargila,
vivila,
se potrai
un pezzo
riportamela.
Il momento in cui abbiamo condiviso i pensieri da consegnare al mare é uno dei momenti più intensi del viaggio, per lo meno per quanto riguarda il gruppo completo. Sicuramente ci sono state altre situazioni intense tra gruppi più piccoli, che si isolavano a prua per trovare un po’ di privacy, lontano dal fervore del pozzetto, sotto il boma, dove tra musica, rumore del motore, risate, pranzo da preparare, vettovaglie da spostare, c’era sempre un gran andirivieni e un po’ di confusione.
I momenti esilaranti sono stati tantissimi, in particolare grazie alla eterogeneità delle personalità e delle provenienze.
Vincenzo da Trapani che dialoga con Elvira da Treviso, ve li immaginate?
Oppure Cornelia di Dusseldorf che discute animatamente con Massimilano da Napoli?
Un Capitano sardo che impartisce ordini a Giuseppe, velista triestino?
Sicuramente la simpatia e la loquacità di Vincenzo hanno reso l’umore sempre leggero. Come quando ha cercato di spiegarci le stelle, o quando ha condiviso con tutti le sue impressioni confrontando l’immaginazione dei tratti somatici con la sensazioni che ha sentito mentre toccava i volti delle persone.
Sicuramente l’episodio più esilarante riguarda gli occhialini di Nadia, ma il racconto non renderebbe la scena. L’accento siciliano di Vincenzo aggiunge una notevole dose di unicità.
Se vi capita di incontrarlo, fatevalo raccontare.
Siamo stati fortunati con il tempo, graziati da un sole cocente per tutta la settimana, ma questo ha portato poco vento e notti bollenti. Infatti siamo riusciti ad aprire le vele solo un paio di volte.
Eppure non lo sento come un rammarico, viste le innumerevoli incognite di questo primo viaggio.
Quella del gruppo e dell’armonia a bordo era sicuramente una delle più importanti, ma confesso che ero molto preoccupato anche dalla questione dei pasti.
L’intraprendenza di Sharon e Federica ha trasformato questo cruccio in una serie di pasti gustosi, freschi e leggeri, suggellati dal tocco di classe del capitano che ci ha preparato degli spaghetti alle vongole.
La spesa che avevo fatto era un po’ sbilanciata, con alcuni ingredienti in abbondanza e carenza di altri, ma sicuramente non abbiamo patito la fame.
Tutto liscio anche sul programma. Erano diversi gli appuntamenti che avevamo fissato ma siamo riusciti ad essere puntuali per l’incontro con Andrea Meloni, al comando della Guardia Costiera di Ischia, con Elena Schiano, che ci ha fatto visitare il Museo Archeologico di Ventotene, con Francesca Ballini, assessore del turismo di Porto Santo Stefano, con Gisella Guelfi, assessore alle politiche sociali e giovanili del Comune di Porto Azzurro (Isola d’Elba), Sara Frattali, che gestisce la struttura Sassi Turchini, e con i comandanti della Guardia Costiera di Portoferraio Agostino Petrillo e Amedeo Nacarlo.
Se di Ischia ricorderemo la passeggiata al tramonto sotto il castello, di Ventotene la bellissima passeggiata dal porto alla piazza, di Ponza il silenzio, le stelle e l’alba, di Porto Santo Stefano l’accoglienza e la cena sul lungomare, dell’Elba la festa finale ai Sassi Turchini, non possiamo non ricordarci dell’esilarante personaggio che ci ha fatto gasolio al porto di civitavecchia.Basso, con la pancia grossa, completamente bruciato dal sole, a petto nudo, con una catena d’oro al collo e la sigaretta in bocca.
Anche se siamo stati un po’ scortesi non era possibile non ridergli in faccia.
Alcune membri dell’equipaggio che iosservano le operazioni di rifornimentoTutto questo nello scenario surreale di un cielo infuocato, prima di una notte in mare.
Ecco, mi sono dilungato in maniera un po’ sconfusionata tra persone, personaggi, annedoti, albe a tramonti.
Ci vorrebbe la linearità’ della rotta, o magari un vento un po’ più forte, per costringere a una direzione.
O forse, semplicemente il silenzio del mare. Quello che non trovi nemmeno quando nuoti vicino alla spiaggia. Disturbato dalle onde, dagli schiamazzi di altri bagnanti, o da qualche altro suono della costa.
Il silenzio del mare è quello con 1000 metri di acqua sotto di te,
Quello blu, così blu che quasi fa male guardarlo.
Quando ti immergi in apnea e nuoti per il tempo di un respiro trattenuto, in quei pochi secondi con le orecchie che ti scoppiano, in quell’istante sei veramente consapevole.
Sei il tuo corpo, la tua aria trattenuta, l’ossigeno che bruci fino all’ultima molecola, il sangue che pulsa, il freddo dell’acqua sulla pelle, quello che vedi e quello che non vedi, quello che non senti, sei solo.
Tu, e il mare.
Hai bisogno di aria, sei costretto a risalire, ma vorresti essere un pesce e non salire, non tornare lassù, perché è da quel confine tra acqua e cielo che ricominci a pensare.
E nel pensiero, naufraghi.
Dove ho lasciato visione, ipovisione, sordita’? Dove sono nei miei racconti?
Certo, potrei raccontare che ogni volta che mi tuffavo dovevo tgoliere le protesi,e asciugarmi bene le orecchie prima di rimetterle. Potrei raccontare che di notte dovevo accendere la torcia per andare in cuccetta o per cercare un oggetto sul tavole, mentre andavo al bagno nella completa oscurita’.
Ma queste sono le storie della superficie. I pesci non sentono niente. E quello che vedono non lo sanno raccontare.
Il diario di bordo del capitano