di Maria Corbi
(La Stampa 18 Giugno 2019)
«Chiamatemi Tiresia». Cosi esordisce Andrea CamiUeri nei panni dell’indovino reso cieco dalla furia divina, nel dramma-conversazione da lui scritto e Interpretato. Al centro il suo interesse per il personaggio di molte t opere letterarie. Il fascino della doppiezza, un po’ uomo un po’ donna, ma soprattutto della cecità condivisa.
«È l’elogio della cecità», ha spiegato CamiUeri parlando della sua opera drammaturgica.
Un limite che diventa opportunità per entrambi. Tiresia acuisce i sensi a tal punto che riesce a vaticinare il futuro. A indicare a Ulisse nell’Odissea la strada verso casa. Camilleri riscopre sensi perduri e dal buio fa nascere storie.
«Ho sempre fumato 80 sigarette al giorno e, quando ancoraci vedevo, avevo perso il gusto degli odori, dei sapori. Quando gli occhi si sono spenti, sono ritornati tutti insieme».
Camilleri ha parlato spesso della cecità come forza creativa. E anche delle strategie per averla alleata. Ogni mattina lo scrittore detta nuove storie alla sua fidata collaboratrice Valentina Alferi. «È il momento più felice della giornata, m’illumino d’immensa gioia».
Camilleri ha dovuto imparare a scrivere dettando: «Quando uno scrive con le proprie mani, basta alzare lo sguardo per recuperare quel che si è scritto. Questo, non vedendoci più, ti è negato. Ed è impossibile mantenere la memoria di quanto prodotto cinque minuti innanzi, tosi mi sono creato un piccolo trucco, ricorrendo all’antico mestiere di regista teatrali. Immagino la pagina come in boccascena, e me come spettatore. So che Montalbano si trova seduto lì, Catarella è a destra, l’altro in piedi…
Il quadro visivo mi aiuta a ricordare il dialogo. Poi naturalmente Valentina rilegge, 5-6 volte per capire se tutto collima. Comunque sono sempre stato «orale». Anche quando i libri me li facevo da me, lavoravo muovendo le labbra come se stessi raccontando. Ogni pagina me la leggevo a voce alta. Mi accorgevo di inghippi, errori, caduta del ritmo, solo sentendomi».
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