PRIMA TAPPA
Fango. Fango. Fango. Acqua. Acqua. E fango. Sono queste le parole che rimarranno impresse nella nostra memoria della prima tappa di questa terza edizione di #InMontagnaSiamoTuttiUguali.
Sapevamo che avremmo trovato acqua e fango ma il sole e il cielo blu di Bologna Italia e San Luca ci avevano fatto sperare in una giornata calda e asciutta.
Di fronte all’evidente difficoltà di schivare le profonde e enormi pozze ci siamo arresi all’inevitabile: scarpe in mano e piedi nel fango
Se provate a pensare che questo scenario di argilla e acquitrini ha per protagonisti degli ipo e non vedenti dire che abbiamo assaporato il gusto dell’avventura è poco. Questo è coraggio, fidatevi. È spirito di gruppo, è anche stanchezza e sconforto ma alla fine è soprattutto soddisfazione. Quella che a cena, tra vino e polpette ti fa dire: domani è un altro giorno e oggi abbiamo davvero vissuto.
Bravi ragazzi. Sarà sicuramente qualcosa di indimenticabile. A meno che …
Chilometri percorsi e passi sono solo numeri.
Oggi l’unico numero è 12.
Noi.
SECONDA TAPPA
Quasi una tappa di decompressione quella di oggi. La seconda del nostro cammino lungo La Via degli Dei.
Siamo partiti da Sasso Marconi con il sole già alto e caldo nonostante la notte fredda.
Pochi metri sull’asfalto del ponte sol Reno ed è subito bosco
Il fango sui sentieri è quasi ridicolo in confronto a quello di ieri.
Un motivo per ricordarci dell’impresa e iniziare di buon umore il nuovo cammino.
Sì vede Monte Venere innevato (metteremo i piedi sulla neve?), sì vede Monte Adone prima di arrivare a Monzuno. Tutti i nostri dei ci guardano. Forse ci guarda anche il diavolo nascosto sotto i 666 archi di San Luca.
Noi semplicemente andiamo nel silenzio del bosco, tra il cinguettio di uccelli e fremiti di foglie di roverella.
È tempo di fermarsi e ricordare a noi stessi il senso del cammino: i limiti, le tappe, il respiro, il viaggio.
È tempo di ascoltare.
È una natura nella sua massima esplosione quella che ci circonda, tra profumi di lavanda, liquirizia e papaveri.
Quella che nasce dal fango.
Rinasce ogni cosa dal fango.
Anche noi.
TERZA TAPPA
La terza tappa delLa Via degli Dei, da Monzuno a Madonna Dei Fornelli, è molto emozionante. Sì percepisce il nostro andare, con San Luca sempre più lontana.
E se degli dèi che incontriamo Venere doveva essere un passaggio d’amore è inevitabile sentirlo sulle pendici del suo monte.
È in quel bosco così variegato, nel magico castagneto, è nel vento che oggi soffiava forte. È anche nella pioggia, dolce e gentile.
È bianco come la neve, come una pagina nuova da scrivere, come un pensiero che non trova voce.
Ormai è il fango il protagonista indiscusso ma oggi ha dovuto farsi da parte, fino a nascondersi sotto la pietra che porta il nostro nome: #YellowTheWorld.
QUARTA TAPPA
Ore 8.15: ragazzi piove a dirotto, prendiamo il pulmino.
Ore 8.45: ragazzi ha smesso, si parte.
È stata così la partenza per la quarta tappa, istantanea e decisa dal cielo.
La strada di riservava uno scenario tra l’apocalisse e la cataratta.
Alberi abbattuti dal vento, rami sul tracciato e nebbia.
Mancava la nebbia alla sequenza di agenti atmosferici che ci hanno fatto vivere quattro stagioni in quattro giorni.
Eppure ci voleva la nebbia, che non c’è niente di più simile all’ipovisione. Distanze annullate, contrasti affievoliti figure che scompaiono.
Così da renderci un po’ tutti ipovedenti, che più uguali di così non si può, su questa montagna. Quella che divide l’Emilia Romagna dalla Toscana,
un tempo segnata dalla Flaminia militare.
Pietre e faggi, verde e nero, nuvole e cielo
Sono tanti i binomi si questo panorama, ma nessuno supera quelli del Cimitero Militare Germanico sul Passo della Futa: morte e vita, guerra e pace, terrore e speranza.
Per oggi dimentichiamo che per noi è sempre un questione di luce e buio.
QUINTA TAPPA
È di nuovo nebbia. Umida nebbia che bagna l’inizio della quinta tappa.
Sembrerebbe una maledizione ma non è così. Anzi.
È l’occasione per godere un bosco più raccolto, solo ed esclusivamente nostro. Senza niente e nessuno che i nostri passi e i nostri – possiamo dirlo – alberi
Nostri per il tempo del nostro passaggio, nostri per insegnarci che il.mondo intero poggia su di loro.
E loro lasciano che ogni cosa sia. Che tutto passi, come l’acqua di un torrente.
Muschio, foglie, fiori, uccelli e lupi.
Sì. Lupi. Li abbiamo sentiti ululare, nascosti in quella coltre di acqua e aria che non ferma il suono.
L’avete mai sentito un lupo?
Urla con i suoi compagni di viaggio, qualcosa di ancestrale che nessuno sa tranne il nostro cuore, che accelera e batte e vive.
Sono canti e cipressi e orizzonti di colline. Sono invasi d’acqua da navigare e da bere
Sono sorrisi e balli.
Sono colori e profumi
Sono le piccole e grandi sorprese del Mugello.
Una strada che dai monti porta alla valle passando per il Convento di Bosco ai Frati.
Ed è qui che forse abbiamo incontrato uno degli dèi che non sta più su un monte.
Che fosse dentro la chiesa o nelle pieghe della sofferenza lignea non è scritto nei libri.
È solo un dono.
Inaspettato. E accolto da chi ha fatto spazio.
SESTA TAPPA
Si sente la fatica dei giorni precedenti e non ci aspetta una tappa semplice.
Non è nebbia né sole né neve. Solo un po’ di fango.
Profumi di fiori e erbe nuove, un bosco di castagni giovani e di nuovo quel dio che chiede attenzione.
All’abazia del Buon Sollazzo ci sono solo funghi e silenzio tra le macerie e la ruggine. Al Monte Senario raffiche di vento e rumore di alberi.
Ci vorrebbe una vita solo per raccontare una settimana. Così intensa. E densa.
E vuota. E piena
E mai uguale.
In ogni passo c’è un pensiero e una parola. Una risata e un pianto.
In ogni passo c’è la consapevolezza che ognuno di noi ha il suo viaggio. Con le proprie distanza e i propri limiti.
Guardare oltre non vuol dire necessariamente superarli.
Solo riconoscerli e sapere dove muovere il prossimo passo.
Anche se si vede Firenze ancora non sappiamo dove e come andare.
Il brivido di questa incertezza è quello che ci porta nel qui, ora.
Soprattutto nelle persone che ci è dato di incontrare .
E riabbracciare.
Che spettacolo oggi.
Semplicemente uno spettacolo.
SETTIMA TAPPA
Avevano previsto pioggia.
Talmente tanta pioggia che non ci volevano far partire .
E noi, durante la nostra ultima cena, ce ne siamo fregati delle previsioni.
Perché ormai non avevamo più paura di niente, se non voglia di arrivare. Rigorosamente a piedi.
Solo il sole brillante del mattino, l’azzurro del cielo e il bianco di qualche nuvola sgonfia hanno dettatio verità: questo era il nostro cammino e noi lo dovevano chiudere così. Con le ombre nette dei nostri passi, la pelle bruciata e il calore.
Che fosse umano già era chiaro.
Serviva soltanto una conferma dal sole.
Ci sono queste foto, queste parole, ci sono storie che saranno raccontate.
Solo chi c’era sa che un palloncino giallo, una danza improvvisata, mani che si stringono in cerchio, poesie e descrizioni di fiori sono soltanto nostre.
Di questo tempo lento che si riavvolge veloce nel ritorno a casa.
Ognuno la sua.con un abbraccio e un bacio in più.
Ognuno di noi riparte da lì e sarà, d’ora in poi, sempre in cammino.
È potente il conto alla rovescia degli ultimi oassi.
Contengono le migliaia precedenti.
Ben arrivati a Fiesole.
.
Grazie.
È ora di dirlo.
Grazie alla natura, agli alberi, alle pietre.
Grazie al fango, alla neve, alla nebbia, alla pioggia, al vento, al sole.
Grazie ai cani, agli insetti, agli uccelli e ai lupi
Grazie al giallo e all’intero arcobaleno.
Grazie a ognuno di voi..
Grazie al silenzio, alle risate, al coraggio e alla fatica.
Grazie alla vita