Ero vicino a casa. Zona conosciuta, più o meno. Mi chiede: “ Ti accompagno?” Ed io: “No, vado da sola”. Orgogliosa e libera. Scendo dall’auto. Il sole dritto negli occhi. I miei passi sono lenti, incerti, stentati. Nella luce abbagliante solo ombre confuse. E i mille pensieri nella testa. E’ tardi. E’ caldo. Troppa luce. Respiro. Mi sento osservata. Mi sforzo. Respiro. Intravedo. Dove ho lasciato il bastone? Mi concentro… C’è qualcosa. Mi fermo. Un cassone o chissà che cosa di fronte a me. Un’auto mi sfreccia accanto. Un commento scherzoso… Ironia nel vento… Una pugnalata. La ferita brucia. Aggiro l’ostacolo e procedo. Con la mano consolo il ventre sgualcito”
Ho lavorato tanto su me stessa in questi anni. Ho riconosciuto e accolto i miei demoni, mi sono persa e ritrovata e gran parte del cammino era orientata a ritrovare la mia femminilità. L’ho riscoperta frammento per frammento, briciola per briciola. Danzando e ascoltando il mio corpo nelle ore di biodanza. Fermandomi e lasciandomi muovere dal centro di me, ascoltando emozioni e pensieri durante le ore di counseling. Specchiandomi negli occhi delle mie sorelle e in quelli dei compagni di viaggio.
Quando devi combattere per ottenere quel che gli altri hanno senza sforzo, quando essere forti è l’unica scelta, quando il tuo limite è palese oltre che certificato, allora la morbidezza e l’eleganza non sono più una priorità. Forza, è questo l’imperativo per riuscire. Avevo perso di vista la donna in me. E lei scalciava, sgomitava ma a fare la guerra come gli uomini, ci si scorda di essere donne.
Ci ho messo anni per fare pace con un altro genere di forza, quella dell’acqua, la forza delle donne. Mi sono persa e mi sono cercata a lungo prima di ritrovarmi. Ora amo la mia femminilità, in tutte le sue sfumature, quella guerriera ma anche quella più gentile, accogliente, protettiva.
Ma cosa rimane di quella ricerca e di quella femminilità ritrovata, se in spiaggia nell’ora del happy hour non distingui i pali dalle persone? Come sentirsi donne mentre incespichi su un marciapiede o sei costretta a fermarti per un attimo davanti ad un ostacolo non definito? Cosa vedranno mai fuori della donna che è in te, se inciampi e cadi carponi?
Eccola lì la ferita. Quella ferita che è lo stargate verso me stessa, che è il punto di inizio e di re-inizio di ogni ricerca e di ogni scoperta. Come posso sentirmi donna se penso che c’è qualcuno che mi vede inciampare sui miei stessi piedi? Tanta fatica per ritrovarmi, per riscoprire il mio fuoco sacro… C’è Venere in ogni donna. Ma chissà se la Venere del Botticelli ha mai inciampato per uscire dalla conchiglia.
Ecco il punto. Siamo così condizionate dal modello dominante di una donna perfetta nella sua leggiadria ed eleganza, che quando va bene ci dimentichiamo pezzi di noi, e quando va male ci sentiamo tanto scostate da quei dictat da temere di avere perso ogni possibilità di sentirci donne. Per noi donne con disabilità c’è il rischio di vivere questa malattia della perfezione in modo ancora più forte. Per noi truccarci, vestirci adeguatamente, curare il nostro aspetto e i nostri gesti è un po’ più difficile. E spesso nonostante gli sforzi, il risultato non è “perfetto”. E allora ci giudichiamo, o peggio accusiamo gli altri di giudicarci. Quando in realtà le prime a non perdonarci delle nostre splenide imperfezioni, siamo proprio noi.
Certo, è difficile sentirsi avvenenti quando si inciampa su un gradino. E’ dura sentirsi delle dive quando non si cammina sulle gambe ma su un paio di ruote. Difficile sentirsi femme fatale se il nostro eloquio non è fluido e chiaro o quando non muoviamo le mani normalmente. Così come diventa arduo sentirsi stelle quando notiamo solo il jeans che non entra o il punto vita appesantito.
Ma è lì lo stargate. E’ lì che siamo chiamate a fare pace. Sarebbe troppo facile – e comunque non lo è – sentirsi sempre belle e seducenti se avessimo una silouette perfetta e tutte le curve e le rotelle al posto giusto. La sfida per ogni donna è smarcarsi dallo stereotipo che ci vuole perfette e omologate, possibilmente docili e sovrapponibili, ritrovando la propria autenticità. Venere non è solo quella figura perfetta che nasce dai flutti. O almeno dentro di noi Venere deve imparare a danzare con la Luna, la Lupa, la Donna Selvaggia.
Mi piace pensare che dietro alle nostre imperfezioni c’è quella Donna Selvaggia che sa sempre dove portarci. Mi piace pensare che è proprio dietro a quegli inciampi che si nasconde il vero potenziale di una donna, che non è quello della bambola, ma piuttosto quello di una creatura che ha tutto il potere della terra ma sa anche aqquattarsi nel bosco e poi toccare il cielo. In quel riconciliarsi continuo trova il suo senso.
Noi donne siamo vere quando riconosciamo di essere Lune, quando sentiamo il potere della vita che si distrugge e si rinnova in un ciclo costante. Siamo vere quando lottiamo per ascoltare la nostra voce più profonda, quando ci rannicchiamo sotto un albero per ritrovare un po’ di pace, quando diamo sfogo alla creatività e quando ascoltiamo solo il nostro istinto e nessun’altra voce.
E allora perché non dovremmo inciampare? Perché non dovremmo cadere carponi e poi rialzarci? Perché dovremmo avere paura di sporcarci di fango, quando dal fango nasciamo? Perchè dovremmo avere paura di non essere belle se non assomigliamo che a noi stesse? Perchè – soprattutto – dovremmo vergognarci delle nostre ferite e delle nostre cicatrici? E’ lì che c’è la nostra profondità, la nostra verità, e beninteso la nostra, e quella di nessun altro.
E chi ci guarda? L’uomo che ci sbircia da fuori, ma più spesso il giudice che ci guarda da dentro. Perché dovremmo lasciarci giudicare? Se un uomo in una donna imperfetta non sa trovare Venere, è perché la bellezza di cui Venere è portatrice, l’ha persa anche dentro di sé. O forse perchè non sa che anche Venere ogni tanto, si traveste da lupa, ulula alla Luna e ascolta la sua donna selvaggia.
Ma come ritrovarsi? Come udire di nuovo la voce della Donna Selvaggia, come accordarla con Venere e la Luna? Perchè la femminilità è qualcosa di variopinto, complesso, mutevole.
Ognuna di noi ha la sua strada, la sua modalità. Io danzo. O scrivo. O canto. Semplicemente respiro. A volte cucino. Creo. Possiamo semplicemente sorriderci allo specchio, volerci bene, prenderci cura del nostro corpo, del nostro sentire e dei nostri pensieri. Possiamo circondarci di chi sa farci stare bene e aiutarci a ritrovare la nostra Venere. Meglio però non delegare ad altri la scoperta della nostra luce e la pace con le nostre ombre.
Quel che importa è che quando ci ritroviamo carponi, abbiamo il coraggio di asciugarci le lacrime e di guardarci dentro. La Donna Selvaggia, la nostra Luna, Venere, sono sempre lì con noi. La bellezza di cui siamo portatrici è sempre dentro al cuore. E quando iniziamo o ricominciamo a vederla noi per prime, sarà evidente anche atutti gli altri, anche se cadremo davanti ai loro occhi.
Bellissimo articolo, grazie! Considerarsi attraenti con una disabilità non è semplice. Alla fine – normodotati e non – siamo tutti vittima degli stereotipi sociali. È, secondo me, impossibile non farci i conti nella misura in cui si decide di vivere in un contesto sociale. Il tutto sta nel trovare la propria “misura” nel relazionarcisi e nell’esprimere se stessi. Bellissimo a dirsi, ma difficile a farsi. Negli istanti di reale distacco dagli stereotipi, si realizza quante energie e quanto tempo investiamo male.
Nadia, se una persona ti chiedesse come procedere per imparare ad auto-ascoltarsi , cosa le suggeriresti?
Potrebbe suonare banale ma non lo è… Ognuno ha il suo cammino e ciò che aiuta qualcuno, può non essere fondamentale per qualcun altro.
Tutto sta nella scelta. Quando scegliamo di intraprendere il cammino di sviluppo personale, quando chiediamo alla Vita di aiutarci per
trovare l’armonia dentro di noi, la vita risponde offrendoci opportunità di crescita ogni giorno. L’importante è darsi prima di tutto lo spazio e il tempo di ascoltarsi. Possiamo farlo in solitudine, camminando in natura, meditando, creando. Possiamo chiedere aiuto a chi sa ascoltare e sa farci da specchio aiutandoci a mettere a fuoco noi stessi. Aiuta tanto anche circondarsi di persone che hanno fatto la stessa scelta e hanno deciso di vivere prendendosi la responsabilità di sè e del proprio cammino, per sentirsi davvero liberi di essere unici e irripetibili oltre che sempre migliori. Anche
di questo scriverò presto. Occhiolino…