Il colore del possibile | Dario Sorgato | TEDxBrescia

di
14 aprile 2018

Dario Sorgato ci parla dei limiti in un modo nuovo, come demarcazione tra la zona di comfort e il nostro potenziale, limiti che possiamo spostare, ampliare grazie ai sogni e alla determinazione.

Prendersi cura del limite è prendersi cura di ciò che siamo e di ciò che non siamo ancora, ma che possiamo essere se rendiamo visibile l’invisibile.

Fondatore di NoisyVision, progetto che si pone l’obiettivo di costruire una rete di individui pronti a condividere le loro capacità, risorse, storie ed esperienze per migliorare la vita delle persone con diverse abilità visive e/o uditive, e permettere ad altri di comprenderle meglio.

Viaggiatore inarrestabile, nel 2008 parte per un viaggio che da Città del Capo lo porta a L’Avana, navigando per quasi due anni attraverso l’Oceano Atlantico e lungo le coste del Brasile e delle isole del Mar dei Caraibi. Nel 2015 ha organizzato una spedizione fino al Campo Base dell’Everest per dare voce alla campagna di sensibilizzazione a favore dell’accessibilità e mobilità degli ipovedenti.

Nel documentario autoprodotto #YellowTheWorld – Everest Edition racconta questa avventura. Scrittore, blogger e performer, cerca di combinare le sue passioni per realizzare progetti visionari che possano aiutare altri ad accettare e vivere i propri limiti.

Qui la trascrizione del discorso completo

Mi vedete bene?
O forse mi vedete meglio adesso?
In ogni caso io non vedo voi e non vedo fino a dove posso camminare
Ma se metto questo nastro adesivo giallo lungo i bordi del palco, eviterò di cadere in braccio alle signore in prima fila. A meno che non sia quello che vogliono.
Questa  é l’ipovisione. Una malattia al confine tra visione e cecità, in diverse forme e gradi.
Vedo questo nastro giallo che ho appena messo a terra, ma non il bordo del palco, vedo quella luce in fondo ma non vedo le mie mani se sono a questa distanza. Non vedo niente di notte e non riesco a leggere le pagine di un libro.
Ma posso lasciar cadere una penna per terra e raccoglierla senza esitare.
Come una fotocamera a bassa risoluzione, come guardare il mondo attraverso lil buco della serratura.
Le malattie che portano all’ipovisione sono diverse, come sono diverse le caratteristiche di ogni forma di ipovisione e le cause. Nel mio caso si chiama Retinite Pigmentosa, ma la sfortuna non arriva mai da sola, e quindi io sono anche ipoacusico.
La combinazione di ipovisione e ipoacusia prende il nome di Sindrome di Usher. Compare negli elenchi delle malattie rare ed é una delle maggiori cause di sordocecità. A me é stata diagnosticata quando avevo 16 anni.
A 19 anni ho cominciato davvero a sentire il trauma della degenerazione, che cominciava a fare il suo corso, ricordandomi ogni giorno questa condanna al buio.
Il percorso psicologico di accettazione é stato molto lungo e non certo facilitato dalla percezione della disabilità’ che c’è’ o almeno che c’era negli anni 90 e primi 2000 in Italia.

Solo nel 2011, quando mi sono trasferito a Berlino, ho attuato un vero e proprio cambio di prospettiva, spostando il fuoco su quello che posso ancora fare, invece di rimpiangere quello che non posso piu’ fare.
Da allora ho cominciato a diffondere questo messaggio che i limiti sono un potenziale, in particolare durante un workshop per ipovedenti che ho organizzato nel 2013 a Berlino. Il titolo di questo workshop era The Visionary Europe e il focus principale era l ‘accessibilità.

Nel 2014 ho dato inizio ad una campagna di sensibilizzazione, #YellowTheWorld, con l‘idea di colorare di giallo gli arredi urbani e gli elementi che facilitano la mobilità nelle città.
I bordi dei marciapiedi, i pali dei cartelli stradali, le scale delle metropolitane, degli edifici, i panettoni, tutti questi elementi urbani, sono spesso sui toni del grigio e lo sfondo principale delle città é  il grigio delle strade e dei muri. Per non parlare delle porte di vetro, che per gli ipovedenti (e non solo) sono delle armi.
Per chi ci vede bene questi elementi sono ciò che compone le città’, sono, a volte, le caratteristiche, per un ipovedente sono ostacoli.

Ma se fossero gialli?

Questo contrasto elevato favorirebbe la mobilità’, ridurrebbe la possibilità di inciampare, di andare a sbattere. Colorare il mondo di giallo é un gesto pratico, concreto e semplice per rendere le città più accessibili.
E con qualche idea, con le giuste combinazioni, magari anche più belle.

Sogno una ondata di giallo che invaderà tutto il mondo, sogno che le amministrazioni comunali, i policy maker, vedano in questo un modo semplice e spesso non invasivo, per favorire gli ipovedente per dimostrare attenzione a tutte le categorie sociali.
Se questo giallo deve invadere il mondo quale posto migliore per osservare quest’ onda gialla se non la montagna più’ alta del mondo, il Monte Everest?
Con questa idea nel 2015 ho deciso di provare a raggiungere il campo base dell‘Everest.
Dopo diverse settimane di adeguata preparazione, sia mentale che fisica, sono partito per Kathmandu. Da li ho preso un piccolo velivolo che atterra su una pista in pendenza a 2800 metri e poi ho iniziato a camminare.
Ci ho impiegato quasi due settimane, camminando tutti i giorni, a volte anche di notte, con la torcia frontale, seguendo i passi della guida, a meno venti gradi, con l’acqua ghiacciata nella borraccia, le falangi delle mani congelate.
E’ stata dura, ho avuto diverse difficoltà’, ho anche considerato di rinunciare, ma alla fine ce l’ho fatta.
WOW!
365 gradi di panorama di montagne immense, Ama Dablam, la vetta del Pumori colpito dalle prime luci dell’alba, e ovviamente l’ Everest.
Il 25 Marzo 2015 ho raggiunto il campo base dell‘Everest

Non ci si improvvisa avventurieri.
Prima di questa spedizione ho fatto altri viaggi.
Infatti per me accessibilità’ va di pari passo con mobilità’.
Anche se il termine si usa spesso per far riferimento a quanto un luogo é accessibile ai disabili, in realtà la definizione del termine é ben più ampia: raggiungibile.
E allora quali sono i luoghi che io ho già metaforicamente colorato di giallo, nel senso che li ho raggiunti?
Ho vissuto un anno in Australia e Nuova Zelanda, e in quel periodo ho attraversato il deserto dell’Outback, ho percorso a piedi il cammino di Santiago, ho camminato lungo il sentiero degli Inca per raggiungere Machu Picchu.
L‘altra grande avventura, però è stata quella a bordo di Heraclitus, un vascello di ferrocemento, con il quale ho navigato per due anni, da città del capo a Rio de janeiro, da Salvador de Bahia a L’Avana, lungo le coste delle isole del Sud America e nel Mar dei Caraibi.
La barca é un ambiente in continuo movimento, e non a caso il suo nome, Eraclito, ricorda proprio questo, il continuo scorrere, il costante divenire, il cambiamento.
Durante i due mesi che ci sono voluti per attraversare l’Oceano Atlantico, il paesaggio, l’orizzonte, non cambiano mai. Il sole sorge alle tue spalle, e tramonta di fronte a te. Tutti i giorni.
Sei tu che cambi, ogni giorno, ma non lo sai. Non te ne accorgi.
Fino a quando arrivi sull‘altra sponda, ti radi la barba e scopri che la pelle bruciata dal sole e dal vento é l’immagine della trasformazione.
Non sono avventure che si raccontano in una manciata di minuti, ma sono le tappe del mio viaggio, quelle che mi hanno portato a quel cambio di prospettiva, a quella accettazione dei miei limiti fisici come una sorta di perimetro, di contenitore, oltre il quale, invece, espandere i sogni, le possibilità della mente, i desideri.
E per realizzarli occorre fare un passo oltre quelli che consideriamo i confini sicuri della nostra vita, della quotidianità, la cosiddetta comfort-zone.
Ma andare oltre non vuol dire necessariamente intraprendere delle avventure, o dei viaggi.
Questa è la mia storia, che parte da una diagnosi, ma non è questa la chiave. Non è necessario essere disabili o avere dei limiti fisici per attuare la propria trasformazione.
Per inseguire i propri sogni.
Basta una scintilla, quella che chiamiamo ispirazione.
Non ho la presunzione che questa storia lo sia, ma sono certo che il giallo avra’ un nuovo significato.
Perché in fondo, ognuno di noi ha dei limiti, che magari non sono così definiti come quelli del mio campo visivo. Magari non rientrano tra le malattie rare, tra le disabilità riconosciute.
Per me è facile definire il mio limite.
E’ quello tra il giorno e la notte, tra la luce é il buio, quello tra qui e là .
E’ il limite tra il suono di un telefono che squilla e quello di un trombone.
Ma per voi?
Come fate a sapere dove sono i vostri limiti?
Lo ripeto, tutti noi abbiamo dei limiti, siamo fatti di limiti,
Sono i limiti che ci definiscono.
Fisici e figurati.
Sono i contorni entro i quali siamo iscritti.
Quelli del nostro corpo, ma anche quelli del nostro carattere.
Siamo più o meno estroversi in base al limite tra le situazioni confortevoli e quelle disagiate.
Siamo altruisti nel limite di quanto e quando siamo disponibili.
Siamo simpatici nel limite delle parole che usiamo, del nostro cinismo,
Il nostro rispetto si misura, anche in questo caso, nel limite di quello che facciamo o non facciamo per la natura, le persone, le cose.
Tutto si definisce con i limiti, anche le nostre potenzialità’ e i nostri difetti.
Di nuovo, nel mio caso, ci sono alcuni limiti che sono talmente chiari che sono quelli che nel corso degli anni e della degenerazione della malattia hanno influenzato tutti gli altri.
Si tratta di equalizzare, costantemente.
Di spostare il confine verso l’estremo del limite che più ci appartiene.
Il giallo vuole diventare questo.

Il colore di chi vuole andare oltre, provare a superarsi, a cambiare le cose che non ci piacciono.

YellowTheWorld, quell’ invasione di giallo che vuole rendere il mondo più accessibile, raggiungibile, diventa il giallo del nostro mondo, delle nostre potenzialità, diventa il colore del possibile.

Il colore di chi si prende cura dei propri sogni.

Di chi cerca di realizzarli

Significa vivere con passione, così’, come siamo con i nostri limiti, oltre i quali espandere la passione, la determinazione, più che la speranza.

Cosa c’entra un marciapiede, così’ materico, cementificato, magari sporco, con la passione?
Cosa c’entra un semaforo con i sogni?
Cosa c’entrano le città con le montagne dell’Himalaya?
Niente.
O almeno non c’entrerebbero niente se non fosse che da oggi hanno in comune un colore.
Indovinate quale?
Il gallo.

Perché il giallo à il colore del mondo che vogliamo, il colore che rende visibili le cose invisibili, che rende visibile una disabilità invisibile, e quindi che rende possibile l’impossibile.

Se il giallo é il colore che fa da comune denominatore a questo panorama insolito, é la nuova traduzione cromatica di quel bellissimo binomio inglese che é TAKE CARE.
Intraducibile e allo stesso tempo pieno di significato.
Prendiamoci cura dei sogni
Prendiamoci cura di noi.

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