Mentre voi sperate io continuo a vivere.

di
2 giugno 2017

Ma voi credete davvero ad una cura per questa maledetta malattia?`

É questa la domanda posta da uno dei membri di un noto gruppo Facebook che riunisce pazienti e con la retinite pigmentosa o la Sindrome di Usher e i loro familiari.

Con oltre 2000 iscritti é un gruppo molto attivo e compaiono quotidianamente post di tutti i tipi. Storie di vita quotidiana, annedoti, qualcuno che cerca conforto, qualcuno che condivide l´ultimo referto medico.

Tanti post sono delle condivisioni sulle ultime notizie su possibili cure, test piú o meno riusciti, retine artificiali, retine orgnaniche.

É da oltre vent´anni che vivo e convivo con la retinite e da altrettanti anni le notizie sembrano promettenti. Ad ogni controllo o visit ail medico di turno parla di promettenti risultati di tal collirio o tale sperimentazione.

Ho partecipato a qualche congresso e quello che mi rimane é l´immagine di un professore americano che racconta di come sia riuscito a far rallentare la degenerazione retinica di un topo. Beato topo.

Alla domanda di cui sopra, quindi, non sono riuscito a trattenermi dal commentare con un secco

Mentre voi sperate io continuo a vivere

Questa risposta tuona accusatoria sotto i si, i no, I chissá e le varie argomentazioni che supportano staminali, genetica, bionica, cellule programmate e chi piú ne ha piú ne metta.

A chi credere?
A cosa credere?

Il mio commento deve essere stato letto come un giudizio o forse addirittura come una vanitá: voi state qui a piangervi addosso, ad aspettare le cure, a sperare, mentre io faccio delle cose straordinarie che voi nemmeno vi sognate.

Riporto alcuni commenti significativi

S.C. sono sicurissima che fuori da questo gruppo le persone abbiano una vita, dei sogni e cose più belle da realizzare. É giusto tuttavia impegnarsi perchè la ricerca vada avanti, altrimenti non succederà mai niente e non è una cosa triste tanto per noi quanto per chi verrà dopo. D’altra parte anche tu dedichi molto della tua vita all’informazione ed è giusto che sia così a mio avviso. Non siamo “snob” e non pensiamo che gli altri siano dei piagnucoloni rompi scatole che non sanno vivere la loro vita…. no?

Dario: certo che no. Ma siccome so (mi scrivono tante persone) che molti si chiudono e si isolano e si nascondono aspettando che qualcuno li salvi, cerco di promuovere questa attitudine meno compassionevole, meno pigra. I ricercatori fanno la loro parte, ma cosa fa davvero chi in loro spera? Cosa vuol dire combattere?

A mio avviso siamo noi i primi a doverci mettere in gioco e non credo che basti dirlo, o scriverlo.

Se tutti quelli che sperano nel frattempo facessero, sarebbe giá un modo per arrivare a capire che essere ipovedenti non vuol dire privarsi della felicitá.

E che quindi la cure sono le benvenute, ma vederci perfettamente non é sufficiente. Anche se la malattia si fermasse, o sparisse, saremmo forse delle persone migliori?

P.F. : Non è comunque necessario compiere azioni eclatanti e stupefacenti per essere sereni e VIVERE… tu sei straordinario nella straordinarietà e c’è chi è straordinario nella sua ordinarietà.

Dario: sono d´accordissimo sul fatto che non bisogna scalare montagne (vedi #YellowTheWorld  – Everest Edition) per essere felici. Quello é solo il pretesto per raccontare una storia, per dare voce alla nostra disabilitá invisibile. Non mi si fraintenda. Credo che le NOSTRE azioni di OGGI possano farci meglio delle cure/terapie di domani sulle quali non abbiamo molta influenza.

Questa é una discussion che avevo giá intrapreso in seguito a questo intessante post sulla Pagina Facebook Ipovisione

Qui si legge

L’approccio sembra diametralmente opposto al pietismo con cui molte associazioni di categoria hanno gestito per decenni e forse continuano a trattare anche oggi la nostra condizione: assistenzialismo e benefici economici più che servizi.

Ma l´autore si interroga anche cosi´

Mi chiedo però se tra il niente e il molto non sia preferibile partire dal necessario.

Le ragioni della riflessione sono partite da punti diversi, ma la conclusion é simile.
Si puó essere felici anche nel quotidiano, anzi, si deve. Ma soprattutto bisogna capire che le storie di grandi imprese vanno poi relazionate proprio alla vita di tutti I giorni e in qualche modo “usate” per capire che tutto é possibile, che ci vuole volontá e determinazione, tanto per andare a comprare il pane quanto per andare oltre i 5000 metri.

I due commenti che seguono invece, sono particolarmente interessanti per capire perché ha comunque senso continuare a informarmsi e conoscere.

A.C.S. Le sorprese sono affidate al caso. La ricerca è un continuo lavoro di centri sparsi in tutto il mondo che ormai condividono alcuni risultati. Certo per chi non si informa quando succederà qualcosa di buono sarà una sorpresa. Comunque tutti viviamo la nostra vita, ma anche dare qualunque informazione a chi non sa, a qualunque livello fa parte della ricerca.

P.M. Anche i ricercatori sono speranzosi e continuano a studiare e a cercare una cura. Pensa se anche loro perdessero la speranza…. Tante malattie che prima erano incurabili ora si curano o si rallentano grazie agli studi di persone che con caparbia speranza ci hanno creduto

Commenti

  • Ecco un commento lasciato su Facebook
    L.C.
    Credo che ognuno – normodotato e non – sia il risultato della propria storia: famiglia di origine, esperienze e relazioni vissute, educazione in senso lato, carattere, come e quando è stata ricevuta la diagnosi. Penso inoltre che, come per ogni sfida che la vita porta con sé, anche per una condizione degenerativa e invalidante, seppur non mortale, non esista una equazione assoluta o un univoco approccio da adottare. Date queste premesse, i concetti di straordinarietà/ordinarietà sono davvero relativi e, forse, non poi così prioritari. La domanda aperta “se avessimo la vista perfetta, saremmo automaticamente delle persone migliori?” può invece aprire degli scenari di riflessione e di azione interessanti, ricollegandosi a una considerazione che ritorna spesso. La disabilità definisce una nostra caratteristica, non la totalità della nostra persona. E allora, sì, concentriamoci sulla nostra persona, nella ricerca costante di quella che è la nostra ricetta personalizzata … con gli ingredienti giusti nelle quantità e qualità opportune, che possiamo individuare solo facendo e sperimentando. Che sia la speranza per una cura o la fede, che sia la vertigine dell’adrenalina o la sensazione appagante di una vita tranquilla, che sia l’informazione o il disinteresse per essa… l’importante è vivere e trovare delle soluzioni alternative per fare ciò che desideriamo per l’essere unico e irripetibile che siamo, nonostante i limiti.

  • IO PENSO CHE::: VISTO CHE SI TRATTA DI UNA MALATIA RARA I MEDICI SCHENTIFICI E NON..NON SI OCCUPANO TANTO A PERDERE IL TEMPO.XCHE PER LORO NON CI SONO GUADAGNI ENORMI COME PREFERISCONO LORO...QUINDI VALE A DIRE ..CHE IMPOSSIBBILE CHE NON ABBIA UN SOLUZIONE....VISTO CHE FIN ORA SIA LA SCENZA CHE LA MEDICINA HANNO FATTO DEI PASSI GIGANDI...

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