Non sono ancora riuscito ad incontrarlo personalmente, ma seguo le sue avventure, leggo le sue storie, guardo le suo foto. A volte quando si hanno molte notizie di una persona e si riesce a seguirne alcuni passi, si ha come la sensazione di conoscerla un po’. Non che le storie di attori e calciatori che compaiono sui giornali mi permettano di dire che conosco Brad Pitt o Ronaldinho, ma ci sono persone che si lasciano scoprire anche attraverso la loro immagine o i pezzi di storie che raccontano. E’ Bill Barkeley, anche lui come me affetto da Sindrome di Usher Tipo 2.
Sfidare i propri limiti, spingersi oltre le normali capacità umane è da sempre una delle caratteristiche dell’uomo che ama confrontarsi con l’immenso, il vuoto, la velocità, la profondità, in ogni caso con l’estremo e con l’ignoto, della natura come specchio reale dell’inconoscibile vastità interiore.
Bill Barkeley ha scelto di trasformare il campo visivo ristretto, la visione notturna ridotta e l’ipoacusia, (per altro ad uno stadio degenerativo piuttosto severo: è legalmente cieco e la sua perdita uditiva è 85 per cento bilaterale, progressiva, con una grave perdita sensoriale dell’udito neurale), in pareti verticali, pendii rocciosi e vette da scalare.
Nel 2007 Bill, 45, ha scalato il monte Kilimanjaro, vulcano inattivo nel nord-est della Tanzania e, con 5891 metri, il picco più alto dell’Africa.
Nel luglio del 2010, Bill ha condotto un gruppo di ragazzi (con e senza perdita dell’udito) nell’Amazzonia Peruviana per la prima Hear the World expedition Hear the World è una iniziativa globale del produttore di sistemi acustici Phonak per sensibilizzare sull’importanza di sentire e le conseguenze della perdita di udito.
Attualmente (Maggio 2011) si trova ai piedi della più alta vetta del Colorado che scalerà per celebrare l’anniversario della prima ascesa dell’Everest da parte di un cieco, Erik Weihenmayer.
Ci sono molti altri casi di disabili (leggi il nostro articolo su Kevin Frost) che compiono imprese incredibili, raccontate anche nei film, Soldiers to the Summit e Blindsight gli ultimi, No Barriers USA racconta e supporta atleti che non conoscono barriere, ma mi chiedo
Come possono queste storie, questi esempi, trasformarsi veramente in un incentivo, una motivazione? Le storie incredibili sono belle da raccontare e da ascoltare, sono affascinanti, ma sono storie di altri. Quanto ho finito di leggere l’articolo, di vedere il video, ammesso che abbia ancora gli occhi per farlo, che cosa mi rimane? Dovrei forse cominciare ad allenarmi? Cominciare a scalare le montagne? Emulare?
Non credo che sia questo il senso, dovrebbero essere solo una risposta alla domanda SI PUO’ FARE?
Ci vuole motivazione, determinazione, coraggio e costanza. Sono qualità che servono a tutti, disabili o meno, per ottenere dei risultati, ma tante delle energie di un disabile sono concentrate sul quotidiano, sulle piccole difficoltà della vita, come attraversare la strada, spostarsi da una città all’altra, trovare un lavoro.
Tu, per esempio, che vantaggio trai dalla storia di Bill?
Quali sono le tue montagne?
Lui ha raggiunto il punto più alto del Kilimangiaro, ha raggiunto una vetta, un traguardo. E tu? Quali sono le tue conquiste?
Prima di superare una montagna bisogna capire dov’è e come è fatta. Se avere la Sindrome di Usher vuol dire scalare vette di buio e di silenzio, come si fa a raggiungere la cima?
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